"THE END"

"THE END"
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mercoledì 22 dicembre 2010

Della plebaglia

La vita è una sorgente di gioia ma dove la  plebaglia  beve con altri , tutte le fontane sono avvelenate.
Io amo tutto ciò che è pulito ; ma non posso vedere i ceffi che ghignano e la sete degli impuri .

Essi hanno gettato il loro sguardo giù al fondo del pozzo ; il loro ripugnante sorriso luccica ora verso di noi dal fondo del pozzo .

Essi hanno avvelenato la santa acqua con la loro cupidigia ;  e  mentre chiamavano gioia i loro sordidi sogni , insudiciavano anche le loro parole .

La fiamma si cruccia quando essi avvicinano al fuoco i loro viscidi cuori ; e infine lo spirito stesso borbotta e manda fumo quando la plebe s'avvicina al fuoco.

Nelle loro mani il frutto diventa dolciastro e troppo maturo ; e il loro sguardo rende l'albero secco sulla cima e preda della prima folata di vento .

E molti che hanno voltato le spalle alla vita , l'hanno fatto soltanto per voltare le spalle alla plebe : non volevano dividere con  la plebe la fontana , e la fiamma e il frutto .
In verità , Zarathustra è un vento impetuoso per tutte le bassure ; ed ecco il consiglio che egli dà a tutti i suoi nemici e a tutto ciò che vomita e sputa :  Guardatevi dallo sputare contro vento .

Saggio da : Friedrich Nietzsche .

Sante parole .  Buona giornata 

Da beppegrillo.it: " Fare il proprio lavoro "

In posta trovi la banca. Alla stazione i centri commerciali. Non puoi ancora spedire un pacco allo sportello bancario, ma è solo questione di tempo. E' il trionfo della universalità. Il politico passa il suo tempo in televisione, ma non in Parlamento, fa l'attore, non le leggi. Chi viene eletto, a tutti gli effetti, è come se fosse assunto dalla RAI. C'è una repulsione crescente verso il proprio mestiere che spinge a fare altro. Il treno in orario per Moretti è meno importante dei supermercati delle Grandi Stazioni.Benetton in teoria fa maglioni, in pratica gestisce autostrade, un'attività di cui non ha alcuna esperienza con la quale incassa però miliardi di euro di pedaggi. Colaninno, ex Telecom, ex Olivetti, ex tutto, va in Vespa e si occupa di Alitalia non sapendo una cippa di trasporto aereo. E' l'apoteosi dell'incompetenza.
Le escort diventano ministre, i giudici fanno i deputati e molti deputati vorrebbero fare i giudici, il governo emana le leggi al posto di governare e l'opposizione, oltre a opporsi, trova il tempo di collaborare. L'oncologo Veronesi si improvvisa esperto nucleare. Fare altro serve a combattere la noia del proprio mestiere. Meglio dilettante ogni giorno, che professionista per tutta la vita. Solo chi affronta la sua attività con lo spirito del dilettante puro può svolgerla senza distrazioni, con la leggerezza dell'improvvisazione, Bertolaso delle catastrofi ad esempio, o Gasparri quando era ministro inconsapevole delle Telecomunicazioni.
Fare altro non significa, come è ovvio, rinunciare allo stipendio per il quale si è pagati per fare qualcos'altro. Anzi. L'"altrismo" non va confuso con l'altruismo, pur avendone l'assonanza. Se il delitto non paga, esattamente come Tremorti, fare il sindaco e il senatore, l'attore di teatro e il deputato, l'avvocato e il parlamentare paga doppio e anche triplo. L'altrismo sviluppa sinergie impensabili insieme ai portafogli. L'importante è partecipare (all'incasso). Trovare un ministro che fa il ministro, un eurodeputato che fa l'eurodeputato, una puttana che fa la puttana è un'impresa disperata. C'è pure chi si improvvisa leader mentre è presidente della Camera e chi partecipa alla stesura delle leggi come presidente della Repubblica.
L'attività del vicino è sempre più verde. Babbo Natale farà anche la Befana e i Re Magi insieme a San Giuseppe. Il trasformismo, vecchia malattia del Paese, che colpisce inesorabilmente gli italiani, da Giolitti a Scilipoti (con rispetto parlando) si è trasformato nella schizofrenia sociale. Ognuno è anche altro. L'importante, come sempre, è non lavorare e soprattutto, non prendersi le proprie responsabilità.

martedì 21 dicembre 2010

Il 10% della popolazione italiana si divide metà dei beni...


Banca d’Italia: Il 45 per cento della ricchezza in mano al 10 per cento delle famiglie
Secondo i dati diffusi dalla Banca centrale, il 50 per cento delle famiglie dispone solo del 10 per cento del patrimonio
La distribuzione della ricchezza in Italia è molto squilibrata: il 10 per cento delle famiglie possiede il 45 per cento della ricchezza, mentre c’è un 50 per cento delle famiglie che in totale arriva a mettere insieme il 10 per cento della ricchezza totale. E’ quanto emerge dai dati diffusi oggi dalla Banca d’Italia, che ha presentato il bollettino sulla ricchezza delle famiglie (dati riferiti al 2008). Il rapporto descrive un Paese fortemente diviso tra chi conduce una vita agiata e chi, per usare un’espressione abusata, “fatica ad arrivare alla fine del mese”.

Al di là delle percentuali, è analizzando i dati assoluti che si coglie il vero significato di questo squilibrio: la ricchezza netta dei 24 milioni di famiglie italiane è di 8.600 miliardi. Questo significa che, in media, ogni famiglia possiede un patrimonio di 358.000 euro. Una cifra ragguardevole, che infatti pone il nostro Paese nella media degli stati dell’Occidente (e di gran lunga più in alto degli Stati Uniti). Ragionando però sulla distribuzione di questa ricchezza, la musica cambia. Eccome. Dividendo il 44 per cento del patrimonio per il 10 per cento delle famiglie, si ottiene una media per famiglia di oltre un milione e mezzo di euro. La metà delle famiglie italiane, invece, ha un patrimonio medio di poco più di 70mila euro. Non stiamo parlando di reddito, ma di patrimonio: case, terreni, beni intestati. La banca centrale italiana, infatti, lo riconosce: “Molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, mentre all’opposto poche dispongono di una ricchezza elevata”. E se gli italiani conservano comunque un patrimonio “competitivo” è grazie soprattutto alle scelte di investimento abituali: il 62 per cento della ricchezza è distribuita in “attività reali”, e tra queste l’82 per cento sono costituite da case di proprietà.

Il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane – continuna l’analisi di Bankitalia – alla fine del 2009 era era stimabile in circa 4.800 miliardi di euro, con un aumento in termini reali dello 0,4 per cento rispetto a un anno prima. Sempre alla fine del 2009, le passività finanziarie delle famiglie italiane erano costituite per circa il 41 per cento da mutui per l’acquisto dell’abitazione. Proprio perché “concentrate” in larga parte sui mutui, le nostre famiglie risultano meno indebitate rispetto alla media dei Paesi occidentali. Da un confronto internazionale emerge infatti come alla fine del 2008 l’ammontare dei debiti fosse pari al 78 per cento del reddito disponibile lordo: in Germania e in Francia tale valore era pari a circa del 100 per cento, negli Stati Uniti e in Giappone al 130 per cento.

Complessivamente, i numeri dicono che l’Italia appartiene alla parte più ricca del mondo, in termini di ricchezza netta pro-capite: il 60% delle famiglie italiane ha una ricchezza netta superiore a quella del 90% delle famiglie di tutto il mondo. Le cifre non fanno sfigurare il nostro Paese a un confronto internazionale, ma è la loro analisi a far emergere un problema serio.  “I dati sulla ricchezza delle famiglie italiane sono drammaticamente eloquenti: un’insostenibile disuguaglianza, una distribuzione tra le più inique delle economie sviluppate e che frena la crescita”. E’ il commento del responsabile Economia e Lavoro del Pd, Stefano Fassina, ai dati di Bankitalia. Ancora più diretto Antonio di Pietro, leader dell’Italia dei Valori: “E’ una situazione da Repubblica delle banane”, scrive sul suo blog: “Questo è diventato un Paese in cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, un Paese fondato sull’ingiustizia. Se il governo e le grandi aziende fossero davvero liberali come dicono di essere, se non fossero abituati a predicare sempre bene e a razzolare sempre male, le cose andrebbero un po’ meglio. Non per noi politici ma per quel 90% delle famiglie italiane che deve accontentarsi delle briciole”.

Variazione del costo della vita lire-euro


 PASTO TIPO
2001
2009
2010
2010/2001
2010/2009
ACQUA (1/2 lt)
€ 0,52
€ 1,60
€ 1,60
PIATTO DI PASTA
€ 2,32
€ 5,00
€ 5,60
DESSERT AL PIATTO
€ 2,07
€ 3,60
€ 3,80
CAFFE'
€ 0,62
€ 0,90
€ 0,95
TOTALE
€ 5,53
€ 11,10
€ 11,95
116%
8%



 Ecco nel dettaglio i costi rilevati dall’O.N.F. 2001
2001
2009
2010
2010/2001
2010/2009
Lire
Euro
Euro
Euro
Var. %
Var. %
CAFFE'
1.200
€ 0,62
€ 0,90
€ 0,95
53%
6%
ACQUA (1/2 lt)
1.000
€ 0,52
€ 1,60
€ 1,60
208%
0%
PIZZA MARGHERITA
6.500
€ 3,36
€ 8,50
€ 8,50
153%
0%
PIZZA GUSTI ASSORTITI
10.000
€ 5,16
€ 10,00
€ 10,00
94%
0%
PIATTO DI PASTA
4.500
€ 2,32
€ 5,00
€ 5,60
141%
12%
PIATTO DI PASTA AL PESCE
5.500
€ 2,84
€ 6,50
€ 7,00
146%
8%
CARNE AL PIATTO
6.500
€ 3,36
€ 6,00
€ 6,50
93%
8%
PESCE AL PIATTO
7.500
€ 3,87
€ 8,00
€ 8,50
120%
6%
DESSERT AL PIATTO
4.000
€ 2,07
€ 3,60
€ 3,80
84%
6%
GELATO
1.500
€ 0,77
€ 3,00
€ 3,00
290%
0%
TRAMEZZINO
1.500
€ 0,77
€ 2,00
€ 2,10
173%
5%
PANINO
3.000
€ 1,55
€ 2,70
€ 2,90
87%
7%
CAPPUCCINO E CORNETTO
2.300
€ 1,19
€ 1,90
€ 2,00
68%
5%
PIZZETTA ROSSA
1.500
€ 0,77
€ 2,10
€ 2,20
186%
5%

lunedì 20 dicembre 2010

Pasolini

PASOLINI E LA SOCIETA'
Pasolini nel 1975 (www.pasolini.net)
Delusione e "disperata vitalità" (1963-1975)
Ho dovuto decidere su quale anno fosse da porre come inizio della disperazione pasoliniana. La scelta è caduta sul 1963, a motivo di queste drammatiche espressioni:
"Facciano scoppiare le atomiche o giungano alla completa industrializzazione del mondo, il risultato sarà lo stesso: una guerra in cui l'uomo sarà sconfitto e forse perduto per sempre."(1)
"Si produrrà e si consumerà, ecco. E il mondo sarà esattamente come oggi la Televisione - questa degenerazione dei sensi umani - ce lo descrive, con stupenda, atroce ispirazione profetica."(2)
Quanto sia oggettiva questa previsione senza luce di speranza e quanto invece derivi dalle ragioni poetiche particolari di lui, non posso, almeno per ora, nemmeno chiarirlo a me stesso. Quel "forse" di cui alla citazione n. 1, lascia intendere che una pur difficile via di salvezza è ancora possibile, purché si abbia il coraggio di mettersi in crisi e accettare umilmente il dolore (composto a volte di solitudine ed emarginazione) in vista della propria crescita umana e culturale.
Il 1964 è un anno speciale per il nostro, che a motivo del suo film sul Vangelo di Matteo, auspica, attraverso dibattiti in giro per l'Italia e il dialogo con i lettori della rivista «Vie Nuove», la necessità di un incontro democratico tra cattolici non clericali e marxisti non dogmatici. Figura di riferimento è naturalmente Papa Giovanni, che grazie alla sua cultura ha saputo avere uno sguardo non autoritario sul mondo e sugli uomini, che non vanno perciò distinti in assolutamente buoni o assolutamente cattivi.
Il marxismo, peraltro, può superare la necessità filosofica dell'ateismo, necessità che nasceva dal positivismo, ma che ora non ha più motivo d'essere perché la scienza ha superato lo stesso positivismo. Il marxismo non deve essere cristallizzato in un sistema fisso e dogmatico. Se così fosse, sarebbe la copia atea del dogmatismo clericale.
Tuttavia Pasolini è pessimista riguardo al futuro, perché ritiene che i dirigenti comunisti non si sono accorti in tempo della svolta neocapitalistica della borghesia, che tende a borghesizzare e disumanizzare il mondo, rendendo gli uomini degli automi. Gramscianamente parlando, i neocapitalisti non sono classe dominante, ma qualcosa di peggio, cioè classe egemone, perché si pongono come centro culturale con la nuova lingua tecnocratica che uccide l'espressività in nome di una spietata strumentalità. Ce ne accorgiamo benissimo: tutto è merce, gli stessi individui sono merce da sfruttare. Questa disperazione però lascia spazio alla speranza che prima o poi, fosse anche nel corso di secoli, gli uomini ritrovino la loro libertà autentica che è nell'espressività, cioè nei sentimenti veri, non indotti dalla cultura di massa.
Per questo vede - alla metà degli anni '60 - l'alleanza tra cattolici progressisti e marxisti non dogmatici, come uno dei mezzi possibili per lottare contro il materialismo (in senso volgare) ateo, cinico e disumanizzante alla base del neocapitalismo, sintesi di tutto ciò che è condannato dal Vangelo.
Insistendo sul tema della crisi del marxismo, suscita le ire di suoi avversari intellettuali o semplici lettori, che lo accusano di essere un letterato decadente che non conosce nemmeno i primi elementi del marxismo. I toni usati da quegli avversari sono aspri e denigratori, l'ennesimo capitolo di una persecuzione, che è poi quella che lo ferisce di più giacché proviene da persone di sinistra.
A una ragazza che gli scrive su «Vie Nuove» di voler studiare all'università ma non avere i soldi per farlo, risponde:
"Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell'esperienza speciale che è la cultura."(3)
Nel '66 prepara con Moravia una nuova serie della rivista «Nuovi Argomenti», finalizzata a chiarire la crisi del marxismo e prospettare le possibili soluzioni ad essa, cercando pure di rifondare la cultura marxista.
In una intervista di Oriana Fallaci, durante una visita a New York, dice che ha ancora delle speranze, ma che queste gli vengono ora non dall'Europa, bensì dagli Stati Uniti, dove si è accorto che gli uomini sono idealisti pur nel loro pragmatismo; inoltre la Nuova Sinistra americana, gli studenti politicamente impegnati per l'emancipazione dei neri, promettono bene: a suo parere, essi non sono né comunisti né anticomunisti, ma mistici della democrazia, vogliono portarla cioè sino alle estreme conseguenze.
Cominciando ad occuparsi del fenomeno "televisione", comprende che vengono accettati nel circuito televisivo solo gli imbecilli e gli ipocriti. La regola è dire fesserie o saper mentire. Se a dibattiti in Tv sono invitati degli intellettuali, anche buoni come Moravia o Attilio Bertolucci, questi devono tacere, non dire ciò che realmente pensano, perché altrimenti verrebbero danneggiati nei loro interessi di letterati.
Nel '67, riguardo la Guerra dei Sei Giorni tra Israele e alcuni Stati arabi, il nostro è dalla parte di Israele, il cui Stato è minacciato dal fanatismo musulmano.
Il neocapitalismo minaccia il mondo della cultura. Pasolini, nel '68, ritira per protesta il suo romanzo Teorema dal Premio Strega, ormai dominato dalle clientele editoriali. Si batte insieme ad altri registi per l'autogestione della Mostra del Cinema di Venezia, ma il Governo interviene con la polizia. Ovviamente il potere, che è cinico ed egoista, ha paura di ogni tentativo di democrazia reale e diretta.
Contro gli studenti che a Roma si scontrano con la polizia, il primo marzo 1968, presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Roma, scrive la famosa poesia Il Pci ai giovani!! che tante polemiche suscita in seno agli intellettuali di sinistra e al Movimento Studentesco: egli sostiene che gli studenti sono dei figli di papà, la loro è una finta rivoluzione, in realtà è la borghesia stessa che per autoperpetuarsi si punisce attraverso loro, che ormai appartengono al mondo del benessere consumistico: disprezzano la vera cultura, sono dei moralisti che aspirano al potere. Simpatizza invece per i poliziotti, essi sì figli di poveri, anche se resi "sicari" del mondo del potere. Insomma, una provocazione, con cui l'Autore dà ai giovani studenti contestatori un metaforico pugno nello stomaco, affinché nasca in loro una coscienza critica. Li invita infine ad occupare le fabbriche e le sedi del Pci.
Solo Moravia ammette di pensarla come lui ma di non averlo detto perché uno scrittore deve prendersi i suoi tempi e non scrivere a caldo, come invece è tenuto a fare un poeta.
Pasolini parla anche di quello che gli appare come "fascismo di sinistra", composto di taluni militanti e intellettuali marxisti (moralisti e borghesi) che creano un alone di terrore e ricatto intorno a chi non la pensa come loro, soprattutto nei confronti di intellettuali liberi da dogmi sia pur laici.
Gli spiriti liberi sono sempre perseguitati, perché non hanno accettato alcun potere: vedi il caso Braibanti, l'intellettuale omosessuale condannato per plagio, oppure, in campo cattolico, Padre Arpa, accusato di truffa, colui il quale ha difeso la Dolce Vita di Fellini contro le gerarchie ecclesiastiche.
La droga diventa fenomeno di massa e Pasolini osserva che chi si droga lo fa per mancanza di cultura, per riempire un vuoto esistenziale, per un generale senso di "paura del futuro". Comunque è contrario ad ogni forma di repressione: la tossicomania è da tollerare come la pornografia, anche se entrambe sono fenomeni negativi.
Nel 1969 il dodicenne viareggino Ermanno Lavorini viene rapito a scopo di estorsione da un gruppo di ragazzi monarchici, che lo uccidono; arrestati, depistano le indagini parlando di un giro di prostituzione maschile e segnalano, tra gli altri, Adolfo Meciani, che si suiciderà in carcere. Viene quindi scoperta l'infondatezza delle loro accuse e Pasolini se la prende con gli investigatori e i giornalisti, che per accontentare il gusto di linciaggio dell'italiano medio, hanno enfatizzato la figura di "mostro" del diverso di turno, capro espiatorio di una società repressa e repressiva, essa sì "mostruosa".
Quando viene scoperta la verità, è messo a tacere tutto sui giri di prostituzione viareggini, perché sono implicati, come in ogni altra città d'Italia, personaggi eminenti di ogni classe sociale, partito, fede.
In Sicilia, a Zafferana, Pasolini fa parte della giuria che assegna il Premio Brancati al libro di Michele Pantaleone Antimafia: un'occasione mancata, coraggiosa denuncia contro il potere mafioso. Il premio viene contestato dai giornali fascisti e ignorato da quelli di sinistra.
Prevede ormai l'imborghesimento di tutto il mondo, per cui il problema sarà sempre più quello di essere borghesi "buoni" e non borghesi "cattivi". I primi ovviamente sono socialisteggianti, amanti della cultura, contrari ad ogni forma di livellamento e di massificazione e di acculturazione. Anche il Terzo Mondo è destinato a diventare piccolo-borghese e industriale. Ciò che però resta indiscussa è l'impossibilità di una previsione certa sul futuro: quindi lui stesso ammette che ogni suo giudizio vale per il momento in cui lo dà.
All'estero, a Praga, il giovane Jan Palach si suicida dandosi fuoco come protesta contro l'oppressione sovietica in Cecoslovacchia. Pasolini dice che sul piano politico è stato un suicidio inutile e inopportuno in quanto strumentalizzato dalle forze reazionarie anti-comuniste; ma sul piano ideale, Jan ha fatto bene in quanto si è espresso col suo corpo come un eroe antico. E' ovvio che Pasolini è contrario alla politica violenta sovietica e critica inoltre la classe dirigente dell'URSS che ha deformato il mito comunista.
Assistendo per pochi minuti (di più non resiste) alle trasmissioni televisive come il Festival di Sanremo o Canzonissima, si accorge dell'involgarimento della società del benessere, la cui massa vive su un piano sottoculturale.
Invita l'organizzazione per la difesa del patrimonio artistico e paesaggistico nazionale «Italia Nostra», a far propri certi metodi di contestazione studentesca, per convincere gli uomini politici ad occuparsi una buona volta dei monumenti italiani, che invece sembrano destinati alla deturpazione. Chi non sente l'urgenza del "problema della bellezza" ed è utilitarista, è come se non amasse realmente la vita, la sua continuità.
Scomparsa la speranza in una rivoluzione comunista, a lui non resta che sorridere (con un male accettato umorismo) di cose che in passato lo avrebbero fatto arrabbiare e lottare (come l'involgarimento delle masse); si rifugia quindi nell'utopia, che gli permette di sopravvivere. I suoi messaggi morali o politici non hanno un contenuto fisso, ma sono "a canone sospeso", cioè riempibili, da parte dei destinatari, di significati diversi nel tempo e nello spazio. Essere  rivoluzionari a parole o senza tener conto delle condizioni obiettive della società, significherebbe fare il gioco della controrivoluzione.
A chi lo accusa di misoginia, risponde che il suo difetto è semmai quello di rappresentare la donna solo nel suo lato angelico e di vedere in lei una esclusa come è anche lui stesso. Del resto, non è in grado di disprezzare nessuno completamente, etichettarlo con un giudizio definitivo, perché vede in ogni persona (e cosa e animale) un profondo sacro mistero. Per questo si scandalizza sempre più per l'assenza di senso del sacro nei suoi contemporanei.
Nel 1970 non è ancora evidente la trasformazione corporale degli operai e dei contadini, che ai suoi occhi appaiono ancora innocenti nel fisico, anche se parlano come gli studenti contestatari borghesi, cioè dicono frasi moralistiche, ricattatorie e terroristiche. La povertà costringe chi ne è vittima ad essere buono, anche se si tratta di un "picciotto" della mafia, che in quanto povero non ha alternative; del resto, gli stessi vertici della società che lo esclude a una vita onesta, sono collusi con i capi-mafia.
Società neocapitalistica e società comunista sono interscambiabili, ormai, in quanto distruggono con prepotente tecnicismo i valori e i monumenti tradizionali del mondo. Il passato, anche se crudele, rendeva più felici, con i suoi valori di semplicità e povertà.
Considera i carcerati non fascisti i veri contestatari della società del benessere: essi sì poveri e appartenenti alla classe dominata, mentre i giudici fanno parte della classe dominante. Non c'è ancora il Pasolini (quasi) totalmente pessimista del '75, che vede il male sia negli sfruttati che negli sfruttatori, il male come desiderio di possedere e distruggere.
Teme nel mondo una reazione di destra, favorita anche da certi estremismi di sinistra, che sono una forma di sottocultura borghese.
Disprezza il revival spiritualista, attraverso il quale giovani e meno giovani contestano apparentemente la società del benessere, mentre in realtà, con la loro sottocultura, fanno il gioco della reazione di destra.
Ai suoi occhi il connubio tra neoavanguardia e contestazione giovanile appare un "monstrum" fatto di moralismo, ricatto e terrorismo.
Nel luglio '70 alcuni rivoltosi democristiani e missini di Reggio Calabria provocano disordini perché come capoluogo della regione è stata scelta la città di Catanzaro: Pasolini, col solito acume, smaschera l'irrealtà di questo problema, che non ha alcuna attinenza con i reali bisogni della popolazione.
In Italia il popolo aspira a diventare piccolo-borghese, consumando i beni imposti dalla società del benessere e, quel che è peggio, abiurando ai propri valori tradizionali dialettali. Solo i napoletani resistono, ma la loro resistenza è votata al fallimento, perché è fatale che il mondo diventi totalmente industrializzato e involgarito per mezzo della cultura di massa. Moriranno i napoletani autentici e fedeli a se stessi e saranno sostituiti da altro tipo di cittadini, obbedienti al Potere neocapitalistico.
Nel '71 collabora, tacitando parte della sua coscienza, con alcuni militanti di «Lotta continua», a un anno dalla strage della Banca dell'Agricoltura di Milano; avverte i suoi nuovi amici che il pericolo maggiore per l'estrema sinistra è il moralismo. Presta anche il suo nome come direttore del giornale «Lotta continua» e verrà denunciato per reati di opinione.
Nel '72 osserva che la falsa liberalizzazione sessuale è giunta anche nell'Italia centro-meridionale. I ragazzi non si iniziano più tra loro e con le prostitute, ma vengono istruiti dalle ragazze secondo i valori del benessere piccolo-borghese neocapitalistico. Avere la fidanzata diventa un obbligo sociale, quindi spesso la si ha non per amore ma per farsi invidiare da chi non ce l'ha e per non passare per incapace o diverso.
L'eccesso sessuale, non associato ad interessi culturali, determina nevrosi nelle nuove generazioni. Il corpo della donna viene più che nel passato, strumentalizzato, ridotto a merce in televisione o sui giornali, e nei quartieri popolari una ragazzina fa l'amore anche con dieci ragazzi al giorno. Chi è diverso viene tollerato purché resti nel suo ghetto mentale e fisico: la permissività è la peggiore delle forme di repressione.
Tra il '73 e il '75 intensifica la sua attività di polemista nei confronti di società e mondo politico, affermandosi come il "Pasolini corsaro".
Accusa la magistratura di parzialità nelle indagini e nei processi. Quando ci sono per un crimine politico due piste, una che porta all'estremismo rosso, l'altra a quello nero, i magistrati italiani preferiscono, per tacita solidarietà di classe dominante, seguire la pista rossa. Gli appare chiaro che le azioni violente e delittuose dei fascisti sono dettate e calcolate nel cuore delle istituzioni, con freddo machiavellismo.
Occupandosi del fenomeno dei "capelloni" ricorda che nei primi tempi in cui comparvero, cioè ancor prima della contestazione del '68, poteva essere un fenomeno tutto sommato positivo, di silenziosa e anarchica protesta contro la società del benessere. In seguito capelloni sono diventati tutti, così che non si distinguono più militanti di destra da militanti di sinistra e c'è sempre il pericolo concreto, nelle manifestazioni comuniste o estremiste di sinistra, della presenza di agenti provocatori fascisti per nulla diversi nell'abbigliamento e nella fisionomia dai veri militanti.
Capelloni possono anche essere ormai dei piccolo o medio borghesi che testimoniano la loro moderna integrazione nella società del benessere.
Prevede che la Chiesa pagherà con la estinzione il suo pragmatico accordo col potere neocapitalistico, che la usa come usa anche i fascisti tradizionali, cioè per lotte storicamente ritardate. In effetti il nuovo Potere è del tutto irreligioso e non sa che farsene dei valori clerico-fascisti. Esso vuole una società di consumatori e basta.
Quindi la reazione di destra, nei primi anni '70, secondo lui ha due aspetti: 1) una lotta reazionaria contingente per l'affermazione del clerico-fascismo; 2) l'effettiva nuova e definitiva rivoluzione neocapitalistica in nome dell'edonismo consumistico e della cultura di massa (vengono così distrutti i valori popolari e umanistici); quindi in politica e in economia, il nuovo fascismo tecnocatico.
Nel '73 si ha un breve periodo di austerity, a causa della crisi petrolifera: Pasolini si illude che l'Italia potrebbe tornare indietro, seguire la via del "progresso" e non più dello "sviluppo", ma presto capisce che la società consumistica è irreversibile.
"Progresso" è per lui ciò che vorrebbero i lavoratori e gli intellettuali di sinistra, cioè un mondo a misura d'uomo, che rispetti tutti i valori culturali che rendono la vita basata non solo sull'utile ma anche sul bello. "Sviluppo" è invece l'industrializzazione totale del mondo, voluta dai cinici produttori di beni superflui e dagli inconsapevoli, ma non meno trionfanti, consumatori. Lo "sviluppo" è sempre di destra, anche se viene accettato pure dalla sinistra. Il "progresso" infatti resta un ideale astratto, perché tutti quanti vivono esistenzialmente come consumatori.
Ormai la repressione neocapitalistica l'ha avuta vinta sulle menti della massa dei giovani sottoproletari. Mentre prima erano fieri di avere una propria identità popolare e disprezzavano i "figli di papà", cioè gli studenti borghesi, adesso invece vogliono essere all'altezza di questi ultimi, e non riuscendovi (perché non hanno abbastanza denaro), diventano infelici e nevrotici, o spietati criminali. Prima possedevano, pur nell'ignoranza, il mistero della realtà; adesso vivono nella Irrealtà. Nessun potere mai in passato era riuscito ad attuare un simile genocidio di valori.
Cosa può salvare l'Italia dal diventare un Paese completamente nazista, se è vero che questi giovani cominciano a somigliare alle SS di Hitler? Una opposizione di sinistra efficace, una nazione onesta dentro la nazione disonesta. E inoltre una opposizione (culturale) alla cultura di massa. Velleitariamente Pasolini parla ancora di rivoluzione comunista, ma sotto sotto è consapevole che ci si dovrà sempre più accontentare del "potere meno peggio" dato dal compromesso storico tra democristiani e comunisti: la socialdemocrazia. Quanto a sé come persona, lui resta legato al mondo antico preborghese e preindustriale: per questo viaggia spesso nel Terzo mondo, dove ha ancora la possibilità di incontrare sguardi di autentica simpatia e felicità, pur nella miseria (ma è fatale che ogni uomo appartenga al tipo di cultura in cui si è formato; e la sua esperienza decisiva è stata tra i contadini friulani: non può abiurare a tale formazione).
Vede di buon occhio il movimento dei radicali, che stanno promuovendo nel '74 una serie di referendum per tentare di riportare una legalità democratica in Italia e per valorizzare i diritti civili, tra i quali spiccano divorzio e aborto. Su quest'ultimo, come vedremo più in là, Pasolini ha delle riserve.
La vittoria dei radicali sul divorzio è prevista dal nostro (più lungimirante evidentemente sia dei democristiani sia della Chiesa sia degli stessi comunisti). I potenti al governo e alla opposizione non si sono accorti che la gente è mutata antropologicamente e non è più attaccata ai valori tradizionali di Patria Chiesa Famiglia, bensì a quelli del benessere superfluo. E' il Potere consumistico che ha voluto la vittoria del divorzio, perché ciò rientra nel suo progetto di una dittatura che vuole ridurre tutti a edonisti di bassa lega.
La Chiesa sta scomparendo come figura istituzionale morale: resta solo un potere finanziario alleato dei potenti di turno. Paolo VI è consapevole di ciò, della fine della religione, ma non ha altro rimedio da consigliare che quello irrazionale della preghiera. Invece, secondo Pasolini, la Chiesa dovrebbe rinunciare al potere e diventare guida dell'opposizione a questo tipo di società disumana che è la società dei consumi superflui. Dovrebbe ritornare alle origini, al tempo della predicazione di Cristo e dei suoi discepoli. Dovrebbe rinunciare alla sua cultura assolutista e abbracciare la cultura libera e antiautoritaria, in continuo divenire, contraddittoria, collettiva e scandalosa. Dovrebbe rifiutare il Concordato tra Stato e Chiesa. Ma è chiaro che non farà nessuna di queste cose per non perdere soldi e potere. C'è chi, all'interno della Chiesa, cerca di porsi realmente questi problemi e dare analoghe soluzioni, come Dom Giovanni Franzoni, che viene sospeso dal Vaticano a divinis.
Continuano intanto le "stragi di Stato": in esse lui vede una "strategia della tensione", voluta dai potenti, prima in funzione anticomunista (per combattere contro il pericolo di una vittoria della contestazione del '68) poi in funzione antifascista, per darsi una verginità di antifascismo che non ha più senso storico, in quanto il fascismo tradizionale è del tutto superato e chi spera in una dittatura di tipo mussoliniano o è uno stupido ingenuo o è in malafede, come appunto questi governanti di centro-destra, che sono i reali nuovi fascisti. I giovani estremisti di destra e di sinistra sono solo le pedine di un gioco diretto dal nuovo fascismo tecnocratico.
Rimprovera se stesso e gli altri intellettuali di sinistra di non aver dialogato con i giovani neofascisti, la cui scelta ideologica è stata dettata dalla disperazione: se fosse stato fatto il tentativo di farli ragionare, forse alcuni di loro non sarebbero diventati fascisti.
Per le sue idee scomode a tutti (tranne evidentemente a Pannella e ai radicali, il cui realismo fondato però su ideali intransigenti, spaventa il Potere) viene criticato da tanti anche di sinistra, come Maurizio Ferrara, che lo accusa di estetismo, di rimpiangere una "età dell'oro", ed anche Italo Calvino, che pensa a un rimpianto pasoliniano dell'«Italietta» piccolo-borghese: Pasolini è offeso perché Calvino dovrebbe sapere che il suo rimpianto è rivolto alla Resistenza e alle speranze di una repubblica nazional-popolare, l'esatto contrario dell'«Italietta».
Precisa che la sua disperazione non è mai totale, perché altrimenti cesserebbe anche di parlare, di occuparsi dei problemi del mondo.
Il 14 novembre 1974 esce sul «Corriere della Sera» il famoso articolo di Pasolini sul "romanzo delle stragi". Dice di sapere i nomi dei responsabili e dei mandanti politici delle stragi, ma non può farli perché manca di prove e indizi. Chi, anche se fa parte dell'opposizione, ha prove e indizi non li fa certo i nomi perché è compromesso col potere.
Il 1975, l'ultimo anno di vita, lo vede battagliare su più fronti:
1) sua prima meditazione metafisica, determinata dagli interessi semiologici che lo avevano già convinto che la Realtà è Linguaggio (adesso approda ad una sorta di concezione spinoziana del divino: Dio sarebbe la Realtà che parla con se stessa);
2) riflessione sul consumismo (egli non è contrario al consumismo come viene vissuto nelle altre nazioni, dove le brutture della cultura di massa sono compensate da una reale qualità della vita data da istituzioni forti e opere pubbliche necessarie - scuole, ospedali ecc. - decenti; è contrario al consumismo italiano, che fa circolare beni superflui senza aver prima risolto il problema dei beni necessari);
3) lotta contro l'intolleranza reale (mascherata dalla finta tolleranza) che colpisce gli omosessuali: l'omosessualità è un rapporto sessuale come tutti gli altri, che non degrada chi lo compie, anzi lo fa diventare più fraterno rispetto agli altri uomini e consapevole della costitutiva bisessualità di ogni essere sessuato;
4) polemizza con i giornalisti, da cui ritiene di essere perseguitato perché è un artista che si può permettere, al contrario della gran massa dei giornalisti italiani, di fare anche del giornalismo indipendente: non potendogli perdonare questa insubordinazione, lo accusano di essere un vizioso;
5) l'aborto: lo ritiene un omicidio, perché il feto ha una volontà di crescere e nascere; l'aborto va prevenuto informando la popolazione su una sessualità alternativa al coito e sui metodi anticoncezionali: è chiaro per lui poi, come dice il Pci, che l'aborto va legalizzato in determinati casi e responsabilmente, e non in ogni caso e trionfalmente come vorrebbe il Potere consumistico, che enfatizza il coito tra maschio e femmina per motivi di produzione e consumo di beni superflui: chi fa l'amore consuma maggiormente questi beni (una coppia non può, ad esempio, non possedere un'auto);
6) propone un (metaforico, ma possibilmente anche concreto) Processo penale ai governanti democristiani rei di non aver compreso e tanto meno lottato contro il nuovo Potere consumistico: essi sono rimasti mentalmente all'epoca del clerico-fascismo e nei fatti hanno rovinato l'Italia deturpandola sia paesaggisticamente che antropologicamente, perpetuando la solita politica mafioso-clientelare;
7) dà alcune lezioni di pedagogia a un ipotetico ragazzo napoletano di nome Gennariello, al quale consiglia la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia disperata e inutile; gli ricorda che è il possesso culturale del mondo che dà la felicità;
8) contro la criminalità di massa (ritiene che tutti i giovani siano dei criminaloidi, potenziali carnefici tipo i massacratori del Circeo, senza un conflitto interiore tra bene e male, perché la loro colpa viene prima ed è nell'aver scelto di non avere alcuna pietà) propone due soluzioni "assurde": a) abolire immediatamente la scuola media dell'obbligo (che insegna a diventare dei presuntuosi ignoranti ipocriti piccolo borghesi); b) abolire immediatamente la televisione (che toglie i valori della tradizione popolare sostituendoli con falsi modelli consumistici che rendono i giovani nevrotici, infelici e appunto criminali, perché molti non hanno i soldi per essere all'altezza dei "figli di papà", da loro invidiati). Nel suo gergo abolire sta per riformare radicalmente, perché la scuola dell'obbligo dovrebbe insegnare ai ragazzi la scuola guida e il galateo stradale, oltre a come risolvere i problemi burocratici e rispettare il paesaggio... dovrebbe insegnare una sessualità completa ma non nevrotica e dare la possibilità di molte libere letture commentate; la televisione sarebbe meglio che diventasse pluralista, con programmi concorrenziali gestiti dagli stessi partiti politici (si tratterebbe di portare alla luce del sole la sotterranea lottizzazione della Rai): lo spettatore potrà confrontare criticamente i vari programmi e farsi una idea propria;
9) prepara il testo di un intervento al Congresso del Partito radicale, ma non fa in tempo a leggerlo (verrà letto a Firenze due giorni dopo la sua morte): ribadendo di essere sempre un marxista che vota Pci, ha speranze sia nel Pci che nei radicali; avverte il pericolo di una falsa realizzazione dei diritti civili, falsa perché intollerante verso ogni reale alterità; suggerisce per questo ai radicali di valorizzare tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura; li esorta a restare sempre se stessi, eternamente contrari e irriconoscibili, a identificarsi col diverso, a scandalizzare;
10) rilascia, il giorno prima di essere ucciso, la sua ultima intervista, a Furio Colombo, nella quale dice che ormai gli sfruttati vogliono stare al posto dei padroni, tutti sono ormai vittime e carnefici a causa dello stesso sistema di educazione al possedere e al distruggere; però dice anche di sperare in un ritorno futuro della autentica mentalità rivoluzionaria di chi vuole lottare contro i padroni senza prenderne il posto; una delle sue ultime frasi dà il titolo all'intervista: "Siamo tutti in pericolo."

Il mercato cinese

Una nuova superpotenza mina gli equilibri storici dei paesi industrializzati: minaccia o opportunità. Sicuramente tutte e due. La Cina è sicuramente un nuovo e potente competitors ma nello stesso tempo un nuovo e immenso mercato. In pochi decenni ha compiuto i passi che il “ vecchio continente “ ha costruito in 2 secoli. L’ apertura verso l’ esterno, i semi del capitalismo e il riposizionamento dell’ egemonia comunista sono stati passi obbligatori per arrivare all’ economia socialista di mercato. Così la Cina che non veniva toccata dalle rivoluzioni industriali, la Cina comunista, chiusa, fondata sull’ agricoltura si è svegliata, alle porte del ventunesimo secolo, aprendo un’ immenso mercato ( 1.300.000.000 consumatori ) pieno di opportunità. Sullo stesso ha però portato problematiche altamente destabilizzanti, dal bassissimo costo della manodopera, allo sfruttamento di vaste economie di scala, al dunping, alla contraffazione ( marchio, brevetto, copyright, modelli … ) e le conseguenti “ sfrenate “ esportazioni verso tutto l’ occidente, che hanno fatto si, data la stagnazione e il momento di collasso dell’ economia europea, di aggravare ulteriormente la situazione e spostare le forze che andrebbero concentrate nello studio delle strategie d’ attacco, in un'unica direzione: la difesa.Tanta attività diretta dell'Occidente e del Giappone in Cina non manca di dar luogo a effetti boomerang. Non che in un Paese noto per contraffazioni, pirateria e violazione di segreti industriali simili problemi si rivelino occasionati, anzi. Essi costituiscono se mai l'ulteriore prova di un orientamento molto aggressivo a far leva sulle migliori acquisizioni tecnologiche e di prodotto a livello internazionale. La “ Terra di mezzo “ è diventata “ the world’s factory “ il suo PIL cresce a ritmi del 9-10 % l’ anno, i consumi, le importazioni e la produzione di acciaio e cemento sono a livelli altissimi. I nuovi ricchi aumentano di giorno in giorno, la costruzione di infrastrutture è massiccia e continua. Sono già arrivati al cedimento per quanto riguarda l’ approvvigionamento di energia e l’ inquinamento. Mai come in questo momento la Cina è sotto i riflettori di tutto il mondo, studiosi, imprese, governi, istituzioni ma se ci si pensa è normale che dopo una chiusura forzata, durata troppo tempo, la Cina faccia le corse per recuperare il gap con l’ occidente e parte dell’oriente. La prima parte dell’ elaborato introduce il marketing globale, l’ importanza di essere impresa proattiva e la crescita dell’ ipercompetizione del mercato globale. Segue un breve escursus sulla storia della Cina per passare, in modo più approfondito, all’ economia cinese e al suo sviluppo tra vantaggi e problemi: crescita del P.i.l., accesso al Wto, gli investimenti stranieri, inquinamento, crisi energetica. Il terzo capitolo illustra i vari modi per entrare nel mercato cinese, previsti dalla loro legislazione, dal più indiretto ( import/export ) passando dall’ ufficio di rappresentanza ( R.O. ) per arrivare alla Joint Venture e all’ acquisizione di aziende cinesi.
Concludo questo capitolo approfondendo un’ importante aspetto della politica cinese di attrazione di capitali stranieri con lo studio delle ZES ( Zone Economiche Speciali ) in particolare della zona di Shenzhen. Prima di arrivare ai casi aziendali ho analizzato la presenza italiana, da subito nel mercato internazionale poi in quello cinese. Non viene discusso solo dei problemi e dei ritardi dell’ Italia ma anche dei vantaggi, dei punti di forza e delle opportunità da non perdere. Concludo questa parte con cenni più o meno approfonditi sulle politiche promozionali nazionali e sul grande problema della contraffazione particolarmente subito dalle imprese italiane ma non solo. Il quinto e ultimo capitolo si apre con una introduzione ,di M. H. Chan professore presso la Hong Kong Polytechnic University, che illustra la situazione presente e futura della Cina. Dopo la prefazione del prof. M.H. Chan inizia la presentazione dei casi aziendali. Questi ultimi sono l’ illustrazione di come cinque imprese hanno avuto successo nel mercato cinese, con strategie diverse, dalla “ committenza “ di Trudi S.p.a., “ l’ affermazione del marchio ” di Ermenegildo Zegna, “ l’ intervento integrato “ di Italmach Chemical per poi passare alle strategie di Mts group e a Gold Bond Enterprises.

domenica 19 dicembre 2010

I proventi della grande manovra


Dove sono i proventi del signoraggio?
(di Sandro Pascucci)
I poveri difensori della Banca Centrale (in senso generico, tanto son tutte uguali, private e ladre) si ostinano a NON credere alla denuncia contro il signoraggio perché, poveri schiavi dei libri contabili, non vedono la riga apposita su tali documenti (notoriamente autoreferenziali).
La resistenza psicologica ad una tragica verità è sempre la stessa: il rifiuto e la ricerca di appigli, di qualunque genere, per non guardare nell'abisso della realtà.
E' già successo ultimamente nel caso del 9/11, quando i benpensanti chiedono ai complottisti dov'è l'aereo del Pentagono...
noi non sappiamo dov'è l'aereo che Bush afferma schiantatosi sul Pentagono. Di sicuro NON E' NEL Pentagono NE' SUL prato antistante e di certo NON E' EVAPORATO..
e allora, chiedono i benpensanti bisognosi di sicurezze, dov'è? non lo so, non lo sappiamo noiandri complottisti... forse è in fondo all'oceano o in un centro demolizioni nel deserto del Nevada o forse è stato immatricolato e ridipinto e svolazza ancora per i cieli americani, magari su Washington stesso...
non è compito nostro dire dov'è quell'aereo, specialmente DOPO che abbiamo DIMOSTRATO DOVE NON E' !!
Ugualmente per il signoraggio.
Dove sono gli enormi profitti della truffa del signoraggio?
Essi sono, [alla Megan] tutt'intorno a te. Il signoraggio è nelle banconote che usi, tutte di proprietà BCE - come chiaramente scritto sopra!! - è nelle tasse che paghi, nei servizi che non hai, nei serbatoi vuoti delle auto della Polizia, nelle stampanti dei tribunali ferme per mancanza di carta, nelle mani vuote dei barboni per strada, nelle lacrime delle vedove e degli orfani di chi si è ammazzato per insolvenza... il signoraggio è nei conti correnti segreti delle Cayman, nel mutuo che stai pagando, nell'aria inquinata che respiri - aria inquinata dalla combustione del petrolio, noto veicolo di riciclaggio dei dollari-carta-straccia, è nei magazzini-pieni-di-invenduto per l'anemia finanziaria di cui la Società tutta soffre, Società che pur li ha costruiti, quei magazzini, e poi li ha riempiti col lavoro dei suoi cittadini... il signoraggio è celato dalla partita doppia, che bilancia una banconota da 30 centesimi con un Titolo di Stato - che rappresenta il nostro futuro lavoro. Il Grasso Bankiere paga con 30 centesimi un'ora del tuo tempo, della tua vita... e tu mi vieni a chiedere dov'è il signoraggio? ma per favoreee...

Il segreto di Bankitalia S.p.A.
(di Sandro Pascucci)
Il Cittadino medio, anche se di buona cultura (spesso di elevata cultura), ignora il fatto che la Banca d'Italia è una Società per Azioni totalmente privata e svincolata dallo Stato. Da sempre, poi, non è mai esistito un elenco ufficiale dei partecipanti al capitale di questa azienda privata denominata Bankitalia S.p.A. Alcuni anni fa uno studio di Mediobanca ha "ricostruito" l'azionariato della Banca d'Italia, ossia ha determinato, in modo empirico, chi fossero i VERI e CELATI proprietari dell'istituto in questione. Sul sito web dellaBanca d'Italia NON ERA PRESENTE, fino ad ora, un elenco ufficiale degli azionisti. Ora è presente questo elenco, creato il 20 settembre 2005. (Personalmente ne sono venuto a conoscenza oggi 23 settembre 2005). Anche da ricerche effettuate in Internet, è risultato che il documento non era presente fino a pochi giorni fa. Perché solo ora la Banca d'Italia ha pubblicato l'elenco dei suoi proprietari? Perché neanche il Senato della Repubblica Italiana pubblica nei suoi verbali l'elenco degli azionisti?

Perché i conti correnti bancari sono una truffa

Perché i conti correnti bancari sono una truffa
(di Sandro Pascucci)
Pensate di andare a lavorare con la vostra Amata: la vostra automobile. Ora immaginate di lasciare la macchina in un parcheggio custodito. Il Grasso Custode, approfittando della sicurezza che non ritirerete l'automobile fino a sera, la presta, ovviamente a pagamento, ad altre persone, a vostra insaputa. Ossia VOI pagate il tizio disonesto per uno pseudo-servizio che offre e LUI lucra su una vostra proprietà. In cambio trovate la vostra auto pulita (ad esempio: i miseri interessi annuali). Inoltre c'è da considerare che nella città (società) in cui vivete le automobili sono tutte uguali e indistinguibili e quindi se durante la mattina c'è stata una rapina, uno scippo, un omicidio fatto con la VOSTRA auto, VOI non avreste modo di saperlo. Le banche riciclano denaro e nessuno può controllare. I vostri soldi non sono più numerati in modo univoco (con l'euro) né identificabili (ma anche prima non erano tracciati in tal senso). Inoltre (seguendo l'esempio) non solo il custode disonesto presta la vostra auto ma la MOLTIPLICA (vedi riserva frazionaria o obbligatoria). E' come se potesse clonarla (oggi 50 volte ma con "Basilea II" in modo infinito). Voi portate la vostra automobile e lui ne presta 50, chiedendone in ritorno 60, 70.. anche 100! E a voi restituisce la vostra, o meglio: ne restituisce solo una, anzi: per le SPESE di tenuta conto, di deposito, in un anno perderete una cospicua parte del valore depositato. In soldoni: depositate un'automobile nuova di zecca - è il caso di dirlo - e ne ritirate una a cui manca uno specchietto, poi un sedile e così via per ogni mese dell'anno.

sabato 18 dicembre 2010

Signoraggio, questa parola sconosciuta a troppi uomini!!!

DEL SIGNORAGGIO E DEL SERVAGGIO
di Panoptes
Affiora a questo punto, la questione del signoraggio. Si tratta di un termine antico, che si riporta all’epoca nella quale i sovrani coniavano monete d’oro e d’argento, cui assegnavano un valore facciale superiore a quello intrinseco (ecco il signoraggio), e la loro effigie sulle monete aveva il significato di garantirne sia l’ufficialità come mezzo di pagamento, sia il valore indicato (nell’ambito del regno). Per la banca centrale europea (BCE) signoraggio è “il reddito ottenuto dalle banche centrali nazionali nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria del SEBC”(art. 32 dello statuto). Tale descrizione, (di parte), è fuorviante in quanto ne sposta i termini, lasciando intendere che si tratterebbe del ricavo di un servizio. Non è così: in realtà non c’è nessun servizio, ma al contrario un potere usurpato.
Oggi, si definisce usualmente signoraggio la differenza tra il valore facciale del mezzo monetario ed il costo per produrlo. (PAOLO SAVONA, La sovranità monetaria, Torino, 1974) Questa differenza diventa un guadagno se chi “batte moneta”è unprivato. Non lo è, se a ciò provvede lo Stato. Un tempo, la quantità massima delle banconote che potevano essere messe in circolazione, era determinata dalla riserva aurea posseduta. Sui biglietti era scritto: “pagabile a vista al portatore” intendendosi che questi poteva chiedere il controvalore in oro all’autorità che aveva stampato la cartamoneta. Questa limitazione alla stampa dei biglietti venne però superata già ai tempi della prima guerra mondiale.
Con il passaggio dalle monete di metallo pregiato alla moneta cartacea, si rese molto più agevole creare valore monetario e ciò scatenò appetiti sfrenati. I banchieri fecero a gara per ottenere il privilegio di battere moneta. E, come sappiamo, l’ottennero. A metà dell’800, l’associazione massonica “Comitato dell’Amor fraterno” in Italia emetteva banconote.
All’atto pratico, il signoraggio si traduce nella potestà di battere moneta. Si tratta di un’attribuzione connaturata al potere statale, cioè alla sovranità (al potere riconosciuto dai componenti il gruppo sociale per la gestione della collettività), e risponde all’interesse essenziale della comunità di disporre di uno strumento di pagamento, garantito nella funzione e nel valore.
E’ bene avere chiaro che un pezzo di carta stampato assume la valenza di mezzo di pagamento, cioè di danaro, grazie al consenso della comunità nazionale. La sua accettazione da parte dei cittadini costituisce una convenzione, in base alla quale al pezzo di carta è assegnato il valore su di esso indicato. Si pensi al caso dell'operaio che, in cambio del suo lavoro (bene reale), ottiene cartamoneta (valore convenzionale) e, con questa cartamoneta, acquista risorse per vivere (valore reale). (Sotto certi aspetti, l’insieme di tutte le banconote di un Paese potrebbe dirsi l’espressione monetaria del valore dei beni che vi si trovano).
In queste condizioni, il “trasferimento” della potestà di battere moneta ad un ente privato, ovviamente ignoto all’esperienza vissuta dalla società umana nel corso della sua storia, assume contorni totalmente distorsivi. Non si può perciò evitare di chiedersi perché le istituzioni, il cui compito specifico è la tutela degli interessi della popolazione, abbiano compiuto un atto che va contro questi interessi in misura tanto radicalmente distruttiva.
Questa incredibile deformazione fu realizzata in modo compiuto nel 1694 quando venne creata la Banca d’Inghilterra: la prima banca centrale nello scenario mondiale. (Ne stigmatizza esemplarmente la costituzione il filosofo KARL MARX, Capitale, Roma, 1974, I, pag. 817 e ss.: “la banca d’Inghilterra venne autorizzata dal Parlamento a battere moneta … con questa moneta la banca faceva prestiti allo Stato e pagava per suo conto gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato. In Inghilterra, proprio mentre si smetteva di bruciare le streghe, si cominciò ad impiccare i falsari. Gli scritti di quell’epoca, ad esempio di Bolingbroke mostrano che effetto facesse sui contemporanei l’improvviso emergere di questa genia di bancocrati…”).
La creazione, in quello che all’epoca era il centro economico-finanziario più importante del pianeta, di una realtà nuova, gli strumenti finanziari, che consentivano potenzialità di grandi e facili guadagni speculativi, generò una nuova schiatta di parassiti, intenti ad arricchirsi con il danaro altrui. Banchieri, finanzieri, rentiers, mediatori, operatori di borsa, si moltiplicarono e ritennero conveniente organizzarsi in camarille, più o meno segrete per mantenere riservati i loro trucchi, evitare conflitti interni e istituzionalizzare legami che garantissero la monoliticità della combriccola. La massoneria, con i suoi riti e la sua segretezza, costituì la loro ideale aggregazione. Il sovrano inglese ne fu subito il capo e risultò pertanto agevole compiere il “sacrilegio”di trasferire ad un loro ente privato il potere di battere moneta. Accedendo a siffatta istanza per evidente interesse di categoria, il re (partecipe della cricca) agì non più come gestore degli interessi della collettività, ma come semplice privato, così certamente arricchendosi, ma abusando dei suoi poteri e tradendo la fiducia dei suoi sudditi. Costui aveva “scoperto” che stampare moneta per conto proprio (e della sua combriccola) era molto più redditizio che farlo per conto della nazione. Il passaparola fra famiglie regnanti e tra i banchieri consentì il rapido diffondersi della privatizzazione monetaria, senza troppi scrupoli per l’interesse pubblico. Nel corso dell’ultima guerra, i Savoia, vedendo profilarsi la sconfitta, (e violando rigide norme specifiche) esportarono all’estero i capitali accumulati, addirittura in Inghilterra, presso i loro confratelli. Confortarono in tal modo l’economia di quel nemico, da loro stessi indicato ai soldati italiani, costretti a combattere senza scarpe e con armi della prima guerra mondiale.
Perché abbiamo parlato della potestà di battere moneta come di un’ attribuzione della sovranità e perché ne è illegittima laprivatizzazione? (Nota: GIANO ACCAME, La destra sociale, Roma, 1996).
E’ necessario ribadire che il battere moneta è attribuzione propria della sovranità pubblica (che, come sappiamo, appartiene al popolo). E’ assiomatico, poi, che la sovranità, proprio perché tale, non è cedibile (tanto meno poi, come nel caso, con una legge ordinaria…). Inoltre, non rientra assiomaticamente fra i poteri dei delegati del popolo disporre della sovranità (cioè dei poteri del mandante).
La cessione del signoraggio ad un ente privato costituisce perciò una vera inconcepibile enormità, determinando, in contropartita, la catastrofica conseguenza del servaggio dei cittadini. Sul piano concreto, infatti, il trasferimento comporta innanzitutto un gigantesco onere per i cittadini, che si traduce in un prelievo colossale di risorse dalle loro tasche (quando, invece, queste risorse appartengono a loro tutti che, accettando la cartamoneta, ne hanno creato il valore). Inoltre, la concessione ad un privato della potestà monetaria, comporta consegnargli la conduzione e direzione dell’attività economica del Paese e la gestione delle sue risorse finanziarie. E’ come se una famiglia consegnasse ad un estraneo il proprio patrimonio perché decida come impiegarlo ed utilizzarlo).
Purtuttavia a questo si è provveduto anche in Italia, (con R.D. 812 del 1926). Legittimo chiedersi chi all’epoca ha incassato, nel Bel Paese, il danaro di Giuda.
Con la privatizzazione della sovranità monetaria, l’ente che stampa le banconote, (il fantoccio banca centrale), non opera infatti come semplice tipografia al servizio dello Stato, ma come titolare, o proprietario, della cartamoneta stampata (il cui quantitativo, tra l’altro, essa stessa decide e determina).
Con la creazione di una banca centrale dotata di questi poteri, lo Stato, ossia la collettività nazionale, si è autopunita perché, quando ha bisogno di soldi, deve chiederli alla banca, e questa (se vuole), glieli presta. Ma, trattandosi di un bene di sua proprietà, gli chiede un interesse . Lo Stato dunque, in queste condizioni, non solo deve restituire il capitale ricevuto, ma pagare anche gli interessi, ed al tasso deciso dalla banca centrale (V.: B. TARQUINI, La banca, la moneta e l’usura. La Costituzione tradita, Napoli, 2001). Naturalmente, noi parliamo di Stato, ma chi è materialmente debitore, colui che deve pagare, è il popolo italiano che, a questo scopo, è onerato di gravose imposte.
Nel Medioevo il signorotto imponeva l’obolo ai sudditi per fare qualche guerra o gratificarsi con qualche sontuoso palazzotto. Se non bastava l’obolo, stipulava prestiti presso i banchieri. E’ stata tale prassi ad accendere le brame di questi ultimi. Poiché i prestiti di guerra erano sempre assai consistenti e perciò lucrosi, costoro vi hanno visto subito le enormi possibilità di arricchimento, qualora fossero riusciti a trasformarli da occasionali in istituzionali. Soprattutto poi quando alle monete d’oro e d’argento, che avevano comunque un valore intrinseco, si è sostituita la cartamoneta a costo zero.
In pratica, oggi, il vantaggio per il privato di “battere moneta” è massimo, equivalente a quello del falsario. Mentre quest’ultimo però rischia la prigione, i banchieri centrali sono colmati di onori. ( MAURICE ALLAIS, premio Nobel per l’economia nel 1988, in : La crise mondiale aujourd’hui, Paris, 1991, , è estremamente chiaro: “Par essence, la création monetaire ex nihilo que pratiquent les banques est semblable, je n’hésite pas à le dire pour que les gens comprennent bien ce qui est en jeu ici, à la fabrication de monnaie par des faux-monnayeurs, si justement reprimée par la loi”).
Se l’Imperatore Augusto voleva una flotta di triremi, con i metalli pregiati estratti dalle miniere dell’impero, coniava i sesterzi sufficienti alla bisogna. E i cives romani potevano tranquillamente andare a comprare il biglietto per godersi gli spettacoli al Colosseo, senza temere rivalse fiscali.
Oggi, invece, se lo Stato ha bisogno di 10.000 miliardi per fare un ponte, deve chiederli in prestito alle banche, ed i contribuenti devono accollarsi nuove imposte per 10.000 miliardi, più gli interessi.
Si è verificata una paradossale inversione dei ruoli. Lo Stato, come un qualsiasi privato, deve chiedere ad un ente privato, diventato però, impropriamente, sovrano monetario, la “sua” cartamoneta. Ciò è abbastanza grottesco ed estremamente punitivo, (ma, attenzione, ripeto, non per lo Stato, ente astratto, bensì per i cittadini).
Per disporre del danaro occorrentegli per funzionare, lo Stato lo deve richiedere alla banca centrale (ma ciò gli è consentitosolo entro certi limiti) oppure vende direttamente ai cittadini dei titoli di credito (i Buoni del Tesoro), con i quali si impegna a pagare un certo interesse (il cui ammontare è stabilito dai privati banchieri, come all’epoca delle Crociate).
La prima porzione riceve come contropartita della cartamoneta prodotta dalla banca centrale a costo quasi nullo, inferiore a quello che dovrebbe sostenere un falsario (la produzione artigianale è sempre più onerosa di quella industriale). La seconda, invece, ha come contraccambio delle banconote che sono il frutto del lavoro dei cittadini. (Questa diversità è piuttosto interessante).
Questi ultimi dovranno anche provvedere, sempre con il loro lavoro e pagando le imposte, a fornire allo Stato i mezzi monetari per restituire al sistema bancario la porzione di cartamoneta che questo ha “prestato” allo Stato.
Consegue comunque in entrambi i casi che le banche, emettendo moneta, “acquistano” a costo zero dai cittadini un valore corrispondente in beni e risorse reali, da costoro prodotti.
Il cliente che va da una banca e chiede un mutuo, in quel momento medesimo ne diventa il finanziatore. Le rate di rimborso del capitale più gli interessi, (spesso spalmate su decine di anni) saranno utilizzati dalla banca per altri lucrosi mutui, praticamente senza fine.
Quando una banca consegna a Tizio per un mutuo del danaro ricevuto da altri mutuatari, è come se Tizio prendesse a prestito il danaro dal suo vicino (TOM SCHAUF, The American Voter Vs. The Banking System, New York, 2002, nonché: N. COHN, The Pursuit of the Millennium, Londra, 1957).
Le banconote che le banche ordinarie ricevono dalla loro longa manus, la banca centrale sono fonte di altra moneta (ancor più gratuita), per effetto del moltiplicatore (come nell’esempio del mutuo, o di ogni altro affidamento). Le banche ordinarie, perciò, creano nuova moneta, doppiamente lucrando sul lavoro dei cittadini.
Nell’esempio di cui sopra, se lo Stato facesse come l’Imperatore Augusto, e cioè stampasse direttamente biglietti per 10.000 miliardi, il ponte verrebbe costruito e nessun onere ricadrebbe sui cittadini.
Inoltre, se lo Stato, come sarebbe ovvio, (ed anzi naturale dovere), esercitasse la sua sovranità monetaria ed emettessebiglietti di Stato anziché chiedere in prestito le banconote della banca centrale, non vi sarebbe evidentemente il debito pubblico(cioè il “debito” contratto con la banca centrale e con i risparmiatori, acquirenti dei Buoni del Tesoro). Ed ai cittadini verrebbe risparmiato il conseguente pesante onere. (A proposito, se stampa Buoni del Tesoro perché lo Stato non stampa direttamente la cartamoneta che gli serve?).
Non solo: l’imposizione fiscale potrebbe essere enormemente ridotta (se non cancellata), le opere pubbliche potrebbero essere moltiplicate, la crescita favorita, e la disoccupazione praticamente scomparire. Inoltre, il danaro creato dallo Stato porrebbe sullo stesso piano il privato cittadino e le banche.
A causa del trasferimento ai finanzieri della sovranità monetaria, oggi, pagando le imposte, i cittadini “restituiscono” alla banca centrale il mutuo che questa ha “concesso” allo Stato creando valore dal nulla, come i maghi delle fiabe.
La Costituzione americana riserva espressamente, al Congresso la sovranità monetaria. In aperta violazione di questo precetto però, nel 1913, venne creata la solita banca centrale, sul modello inglese, cioè con le già note attribuzioni, e si aprì l’era della Federal Riserve Bank , dell’IRS, (la tassa sul reddito) e del TUS (il tasso ufficiale di sconto, con il quale i banchieri stabiliscono quanto costerà ai cittadini il danaro da loro creato a costo zero).
Negli USA è stato calcolato (da Bob Dole, membro del Congresso) che circa il 50% del prelievo fiscale è destinato alle banche in “contropartita” della cartamoneta data in prestito allo Stato.
Pertanto, se si eliminasse questo compenso monetario impropriamente attribuito alle banche, il cittadino potrebbe disporre dello stesso reddito lavorando la metà (ovvero: molte mogli non sarebbero costrette a lavorare per far quadrare il bilancio familiare).
Abramo Lincoln, come già prima di lui Andrew Jackson, utilizzando il potere attribuitogli dalla Costituzione, stampò oltre 400 milioni di dollari di Stato per finanziare la Guerra Civile, senza debito né interessi a carico dei nord americani.
Sganciandosi dal letale legame con i finanzieri, anche J.F.Kennedy stampò dollari di Stato per rilanciare l’economia. Purtroppo scomparve prematuramente, e non mancano voci che ne addebitano l’assassinio (al pari di quello di Lincoln) alla cricca dei banchieri. (www.bankfreedom.com)
Con la cessione della sovranità monetaria, si è creata una situazione analoga a quella del ladro che ruba un’auto, la vende per 1000 euro, e questi soldi poi presta al proprietario, dietro interesse. Il cittadino che chiede un mutuo ad una banca per comprare una casa, ottiene un bene (il danaro), che non è costato nulla alla banca ma che lo costringerà, per restituirlo, a lavorare una vita. (Nota: l’esempio è di CLIFFORD HUGH DOUGLAS, Warnings Democracy, New York, 1997)
Ogni biglietto stampato dalla banca centrale, significa un debito di eguale valore per la collettività.
Ma è necessario, a questo punto, aver ben chiara la situazione reale. Il vero destinatario del privilegio di “battere moneta” non è la banca centrale cui viene attribuito (e del resto ciò non avrebbe gran senso), bensì il sistema bancario-finanziarionel suo complesso che, dietro il paravento di questa furberia della banca centrale, è messo in grado di gestire e lucrare la ricchezza del Paese, attraverso i pezzi di carta che stampa a costo zero (o quasi). Non a caso un certo Amschel Rothschild, co-fondatore della setta degli “illuminati”, già nel 1773 affermava disinvoltamente: “mi si consenta di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi preoccuperò affatto di chi emana le leggi” (W.G.CARR, Pawns in The Game, cit., nonché: B. TARQUINI, La banca, la moneta, ecc., cit.): Ma qualcuno, come abbiamo visto, già aveva capito il lucroso trucchetto.
Anche lo scopo dell’autonomia concessa alla banca centrale e principale pilastro della sovranità monetaria trasferitale, è quello di garantire l’indipendenza (ed ampia discrezionalità) al ben più importante sistema bancario. Se non vi fosse la banca centrale a “dirigere” (in realtà accade il contrario) l’insieme delle banche, queste dovrebbero dipendere dallo Stato e dalle sue direttive e l’arbitrio totale di cui dispongono (soprattutto nella manovra e nella concessione del credito, per non parlare, poi, del collocamento dei titoli azionari) scomparirebbe del tutto.
Gli spropositati guadagni, diretti ed indiretti, e le speculazioni colossali (spesso illecite, come da ultimo il caso Lodi-Antonveneta ha ampiamente dimostrato) che il sistema realizza con il danaro di cui liberamente dispone (impossibili se il danaro fosse stampato dallo Stato), verrebbero cancellati. (WILLIAM GUY CARR, Pawns in the Game, Los Angeles, 1962).
Oggi, per di più, il sistema bancario-finanziario gode di una deregolamentazione sorprendente. La così detta “legge bancaria”, le leggi sulla finanza e quelle sulle assicurazioni, sono nulla più che una sorta di codice di comportamento, del tutto autoreferenziale, che non provvede a tutelare in nessun modo il cittadino. I danni per la collettività sono enormi: gli scandaliSindona, Ambrosiano, Ferruzzi, Enron, Cirio, World Com, Parmalat, Lodi-Antonveneta, per limitarci ai casi più recenti e più noti, ne sono la conseguenza. Di chi sono, se non dei risparmiatori, le centinaia di miliardi scomparsi in queste occasioni?
Annullando una potestà propria della collettività, anzi, addirittura cedendola a speculatori privati, notoriamente pericolosi (ricordiamo il monito di Jefferson sui pericoli di una finanza non controllata…), le istituzioni hanno tradito e tradiscono il mandato loro conferito dai cittadini di tutelare e proteggere gli interessi della collettività che rappresentano. Si può senz’altro ritenere che non possa configurarsi fattispecie che maggiormente si attagli all’ipotesi del reato di alto tradimento commesso dagli esponenti coinvolti.
La vicenda è di una gravità sconcertante e può protrarsi ancora oggi soltanto grazie alla complicità dei media ed alla totale inconsapevolezza della collettività, ignara dei meccanismi monetari, sempre attentamente coperti da rigoroso riserbo e segretezza.. (R. STEINER, I punti essenziali della questione sociale, Milano, 1980). C’è da chiedersi come facciano i banchieri, nelle loro riunioni periodiche, a guardarsi in faccia senza scoppiare dalle risate. Come diceva J. Henry Ford, “è un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario perché, se accadesse, credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”. Dello stesso parere anche l’anonimo banchiere citato da Tom Schauf (Nota:TOM SCHAUF,America’s Hope: To Cancel Bank Loans Without Going To Court, New York, 2000), il quale confessa che “se gli americani scoprissero la verità su questi segreti, impiccherebbero i banchieri per quello che hanno fatto”.
In questo contesto kafkiano, con le istituzioni che tradiscono i loro cittadini, affiorano anche aspetti tragicomici.
La bassa manovalanza monetaria, impegnativa, costosa e non redditizia, è lasciata allo Stato. Questo, infatti, conia le monete divisionarie (in Italia, prima dell’euro, stampava anche i “biglietti di Stato”da 500 e 1000 lire). Si tratta di una frazione minima della complessiva circolazione monetaria (non più del 5%, ammonisce e statuisce la BCE) e del tutto onerosa (anche per semplici questioni di trasporto): le monete più piccole hanno spesso un costo di produzione superiore al valore facciale. Il costo del conio di una moneta varia da 20 a 35 centesimi, mentre quello della stampa di una banconota è di circa 3 centesimi. Il conio delle monetine da 1 lira ne costava 50. Lo Stato, dunque può direttamente acquistare beni e servizi nella piccola percentuale consentita (!!) dalla banca centrale: una sorta di mancia o lo scarico di un compito fastidioso e utile solo agli “schiavi” della collettività?
Incidentalmente, è bene ribadire che non stiamo parlando soltanto di chi abbia il potere di battere moneta e di come esso appartenga connaturalmente allo Stato. Qui facciamo riferimento alla funzione fondamentale propria dello Stato di gestire la collettività. Ora, la cosiddetta “leva monetaria” (cioè la gestione della moneta), costituisce il più importante strumento per realizzare una politica economica. Un’attività dalla quale dipende lo sviluppo della nazione ed il benessere dei cittadini. Questa semplice ed ovvia considerazione fornisce la dimensione del problema di cui si tratta.
Naturalmente, non sono mancati degli assai stentati sforzi per cercare di giustificare teoreticamente il disdicevolissimo trasferimento della sovranità monetaria ai banchieri. Si è detto che lo Stato (cioè il governo) se disponesse della sovranità monetaria potrebbe abusarne per scopi elettorali. (JOACHIM BOCHACA, La finanza ed il potere, Padova, 1982).
L’argomentazione è inconsistente.
Innanzitutto, gli esponenti delle istituzioni hanno una responsabilità politica nei confronti degli elettori e le loro decisioni costituiscono il metro in base al quale i cittadini li giudicheranno. Ed è opportuno sottolineare che questa responsabilitàmanca del tutto, invece, per i responsabili delle banche centrali, che rimangono al loro posto anche se commettono gli errori più gravi.
Secondariamente, parlare di possibili abusi monetari dei governi è sommamente ridicolo a fronte dei ben più gravi soprusi che giornalmente costoro commettono ingannando e mistificando, scatenando guerre, assassinando liberi cittadini con l’etichetta di “terroristi”, ecc. ecc. Comunque, non vi è infine dubbio che, per un governo, è sicuramente meglio il “condizionamento” di finalità elettoralistiche che non quello degli interessi degli speculatori privati.

LKWTHIN

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