"THE END"

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sabato 18 gennaio 2014

La poesia è arma.

Un’arma da brandire e da utilizzare nella lotta di classe quando altri strumenti tacciono. 

Da “L'anima e il muro” di Sante Notarnicola.

La pace.
Alle cinque del mattino
nel dormiveglia
mi hai chiesto:
cos’è la pace?
La pace
è quel cencio colorato
alla tua finestra.
La pace
è il tuo seno
liberato nel vento.
La pace
è quell’arnese:
il rassicurante mitra
che hai celato
tra i vasi di fiori,
del basilico, della menta.

Sante Notarnicola ha attraversato il Novecento italiano da ribelle: operaio, bandito, carcerato. Una vita sempre in salita. O nella quale, per meglio dire, si deve ogni volta ricominciare da capo. "Perché il carcere ti sbatte sempre sotto, ti ricaccia giù, quando ti sembra di stare per riemergere succede qualcosa e non risali". Sante Notarnicola è questo, preciso, attento, senza fronzoli. I tre tempi della sua vicenda biografica sono scanditi dalla poesia, una vera e propria autobiografia in versi, contemporanea a quella generazione che ingaggiò una guerra senza esclusione di colpi con lo Stato lunga circa un ventennio. In disaccordo con la linea attendista del Pci negli anni Cinquanta, rompe con il Partito e seguendo un progetto di guerriglia diviene rapinatore con la famigerata Banda Cavallero. Arrestato nel 1967 e condannato all’ergastolo, prosegue e insieme inizia la sua vera attività politica. Da allora, la Storia d’Italia s’incaricherà di fargli visita nelle varie patrie galere del suo lungo soggiorno. Notarnicola la accoglierà a suo modo: animando il movimento per i diritti dei detenuti sul finire degli anni Sessanta; conoscendo e confrontandosi con lo stato maggiore della lotta armata, dalle Br ai Nap a Prima Linea, tentando l’evasione e sperimentando sulla pelle il regime di articolo 90 nelle carceri speciali. Dopo vent’anni, otto mesi e un giorno si riaffaccerà alla vita esterna fino alla lenta estinzione della pena. Poesie di lotta e inni rivoluzionari, gridi muti di rabbia e squarci di lirismo nati in un contesto, come la carcerazione politica, dove la speranza della libertà è una quotidiana collettiva eucarestia o non è.
"Vidi le sbarre d'acciaio della porta che si chiudevano, e sentii una stretta gelida al cuore. Rumore di metallo contro metallo, la chiave che girava nella serratura. Guardai gli occhi degli uomini intorno a me: inespressivi o eccitati, risentiti, impauriti. Sentii un tamburo che batteva nelle profondità del mio essere. Forse era il cuore. Sentii il mio corpo, tutto il corpo, teso e serrato come un pugno. Sentii un gusto aspro, come se avessi dietro la lingua un boccone spesso e amaro. Mi sforzai di inghiottirlo, poi ricordai. Era il gusto dell'odio, il mio odio, quello dei prigionieri, delle guardie, del mondo intero. Le prigioni sono le riserve di caccia del demonio. ogni volta che giriamo la chiave di una cella rigiriamo il coltello del fato nella piaga di un uomo, perchè ogni volta che chiudiamo qualcuno in carcere lo imprigioniamo nell'odio." 

(G.D.Roberts, Shantaram)
Postato 1 hour ago da Gianna Bonacorsi

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