"THE END"

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sabato 27 luglio 2013

Manifesto dell'uomo moderno

Di Antonio Vento

Il cambiamento
La libertà
La morale
Norme transitorie

Il cambiamento
Concetto di cambiamento. Ogni cambiamento storico va inteso come modificazione dello stato esistenziale sgradevole, privo di felicità, dentro il quale si è costretti a vivere per decisione di un governo o di una minoranza. Si cambia per conquistare una nuova libertà per un uomo nuovo libero; una nuova libertà che non appartiene solo all’uomo singolo, ma a tutti gli uomini di quel paese, non potendo sussistere una libertà individuale se non esiste la libertà di tutti, dentro cui il singolo acquista dignità e certezza storica. La libertà è sempre frutto di un pensiero collettivo, perché pensare in molti è sempre meglio che pensare da soli, affinché il pensiero si possa tramutare in azione: un singolo pensiero, senza risonanza, può essere anche un profondo pensiero, ma se non trova consenso generale resta nell’ambito di un valore intellettivo, di consistenza solipsistica. Un’idea diventa generale e, sotto questo aspetto, universale, quindi azione oltre che pensiero afinalistico, quando esprime in sé l’incontro tra una forte esigenza soggettiva e un profondo stato oggettivo di insofferenza e di alienazione insopportabili. Il superamento dialettico di questi due momenti (quello soggettivo e quello oggettivo) conduce ad un bisogno più alto di libertà, che è capace di realizzare una condizione generale di felicità e di esistenza liberata dall’alienazione e dalle frustrazioni.
Partiamo da un’idea di sincronismo storico: il governo si dichiara disponibile a sostenere i lavoratori a mantenere in vita le azioni con l’autogestione (superando così il concetto di crisi e di chiusura aziendale).
Ognuno si sente rinnovato per il fatto che lui può dare il suo contributo. I leader assoluti e populisti non possono andare d’accordo col rinnovamento, perché i leader inibiscono la presa di coscienza dei problemi da parte dei cittadini. L’uomo libero è l’uomo sempre in movimento, non è mai lo stesso: gli uomini liberi sono coloro che non si contraddicono mai. Socialmente il fine che l’uomo nuovo si deve porre è, ancora una volta, quello della sua liberazione: ha provato il cristianesimo, ma non c’è riuscito perché non ha rinunciato al suo ruolo di guida.
Il primo punto che l’uomo libero si deve porre è il rifiuto sempre più radicale di ogni costrizione imposta all’individuo da una classe che non è la sua. La classe politica e quella delle banche sottomettono le classi dei lavoratori e dei disoccupati mediante una serie di leggi e con certi modi comportamentali condizionanti; queste classi non si preoccupano minimamente della degradazione umana che ne deriva. Ma è proprio dalla presa di coscienza di questa degradazione che nasce il sentimento di ribellione, di rifiuto di uno stato di oppressione e il bisogno di una rinascita sociale e morale.
Il nostro momento è perciò un momento di rinnovamento: non è un momento storico di inutile violenza (che serve a ridare ossigeno alle classi dominanti), ma la conquista delle strutture di lavoro per farle funzionare con l’aiuto cosciente di un nuovo governo eletto dalle genti sottomesse (i più).



Il lavoro lo deve organizzare solo chi lavora: non serve una classe dirigente, né una organizzazione sindacale, servono soltanto una grande coscienza e responsabilità del fare, senza controllori perché non deve più esistere separazione tra controllori e controllati. Un cambiamento si può realizzare quando la maggioranza sfruttata prende coscienza del suo stato, voluto da una minoranza. In un momento di globalizzazione e di diffusione delle idee e delle conoscenze con la telematica, in tempi reali, la ribellione per il rinnovamento non è solo un fatto che riguarda un singolo paese, ma tutto il globo. E’ questo un momento di consunzione delle religioni e del capitalismo, che stentano a sopravvivere; è il momento dell’uomo nuovo libero. In una società nuova avranno diritto di esistenza anche le minoranze oppressive se si renderanno conto del loro errore e, per riscattarsi, accetteranno sinceramente la volontà della maggioranza. Il vero rivoluzionario moderno è quello che si costituisce nel presente, perciò è un uomo che non farà una rivoluzione violenta, ma saprà preparare la sua liberazione dallo stato di alienazione e di oppressione sociale; è l’uomo che prende coscienza del suo stato, privo di dignità umana, imposto da una minoranza oppressiva, da cui si deve riscattare. Questa grande idea di cambiamento, che non vuole chiamarsi idea rivoluzionaria perché una simile definizione spaventa la gente, è un’idea che sta dappertutto, è un’idea di uguaglianza e di giustizia umana. La nozione di libertà implica strutture che una sola classe è incapace di realizzare; è un’idea che tende a realizzare qualcosa che ancora non esiste, ma che è necessaria se si vuole raggiungere un tipo di esistenza nella quale ognuno ritrova se stesso. Ricostruire l’idea di libertà vuol dire superare l’idea di classe e scoprire quell’umana realtà che stava dentro tutti noi, ma che era nascosta da alienazioni e frustrazioni; un’azione di rinnovamento deve saper fare emergere la libertà senza alienazione. Una politica autentica è quella che chiede di far appello a questa libertà. Bisogna cercare e definire quei pochi elementi che si collocano al di fuori delle divisioni sociali e che danno un senso e consistenza all’individuo, ma anche a tutti i gruppi sociali. E’ assurdo pensare che l’uomo si possa definire a partire dall’appartenenza a una classe sociale. La libertà si può raggiungere solo partendo dallo stato di alienazione perché solo la libertà è alienata, non si può alienare un uomo che non sia libero. Non dobbiamo dimenticare che tutti, in maniera diversa, sono alienati proprio perché ognuno e/o ogni parte della società sono in stato di alienazione e possono trovare la propria libertà nella libertà degli altri: la libertà si può raggiungere col superamento della propria alienazione che s’impone come rifiuto pregiudiziale della libertà per mancanza di coscienza di tale alienazione. La libertà generale è insita nella coscienza dell’umanità universale.
Bisogna però tenere presente il fatto che ogni forma di libertà, intesa come superamento di qualche cosa che apparteneva al passato e quindi come tensione verso il nuovo, cessa di funzionare da libertà quando si pone nel ruolo del potere: potere e libertà si contrastano e si annullano; sono un ossimoro. Un vero cambiamento è possibile non nel considerare le varie contraddizioni insite nelle diverse alienazioni che si manifestano all’interno della società, ma nel porre come fatto principale la loro distruzione. L’idea di opposizione a un sistema, per essere efficace, deve saper entrare nella coscienza di tutti, proiettandosi più avanti, verso il futuro, rispetto al sistema stesso; se sta più indietro è un fallimento. Per fare qualche esempio di chiarificazione dobbiamo fare, solo col pensiero, ritorno all’indietro nella storia, quando la monarchia venne superata dall’idea di democrazia: in quel particolare momento il concetto di libertà si nutriva di un principio di partecipazione generale all’idea di esistenza che, fino ad allora, aveva subito l’alienazione e la frustrazione di un’idea di subalternità esistenziale di fronte al monarca e alla sua cerchia. Con la democrazia, prima di aver manifestato la sua contraddizione di potere, si provò la sensazione di vivere in uno stato nuovo di libertà, dentro la quale ogni individuo si sentiva partecipe e pertanto non sottoposto ad uno stato di alienazione. Ma la democrazia, ben presto, ha slatentizzato il suo valore-significato di governo per la gestione di un potere, che non consentiva a tutti di esprimersi pariteticamente rispetto ai bisogni della vita: l’unica unità consentita era ed è la diretta partecipazione nella scelta dei rappresentanti di governo, che però cessano di rappresentare e di identificare i reali bisogni della gente, giustificando tale mistificazione, divenuta anch’essa alienazione, con la teoria della necessità storica. E’ evidente che il valore di libertà non può convivere con il disvalore di necessità. Tutto questo mette in chiaro l’impossibilità di base di un accordo tra cittadini e governanti e quindi ci fa capire che tra gli elettori e gli eletti intercorre una irriducibile distanza che la sola politica non sa e non può colmare. L’unica possibilità di dare alla politica un valore incoraggiante e realmente partecipativo alle istanze umane è legata al senso etico che fino ai nostri giorni non ha mai albergato in alcuna pratica di potere politico o sociale. Anzi, oggi con la tecnologia, che in un certo modo interpreta i principi e le attese dell’uomo moderno, una possibilità etica per la politica non è contemplata, essendo la scienza, che si esprime nel linguaggio tecnologico, pragmatico e totalmente immanentistico, una vera e propria religione dell’anticlericalità, il cui fine è quello di ribaltare tutti i poteri costituiti per contrapporre ad essi un nuovo potere, quello della ricchezza antisociale, disubbidiente e ribelle, dovendo l’uomo nuovo tentare di darsi un valore. Ma l’unico valore possibile, autentico e duraturo, è la libertà che non si può identificare nella ricchezza, essendo la ricchezza negazione della morale.

La libertà:
la libertà esprime sempre uno stato di superamento dell’io e di una serie di oggetti e di situazioni che sono in stretta relazione con l’io stesso. Ogni situazione rappresenta un insieme di rapporti che l’io ha con le cose e con le relazioni tra lui e le cose stesse, mediante le quali si è concretizzata la situazione che sta per essere superata. Su tale meccanismo dialettico si fonda il principio di libertà. Le istituzioni incontrollate dalla gente e quindi la politica, che si arroga il compito di tenerle sotto controllo, rappresentano un falso principio di democrazia, avendo perso la gente il controllo di tali istituti immediatamente dopo aver affidato astrattamente il mandato ad un governo mediante il voto. Eletti, quasi sempre mediante marchingegni antidemocratici e manipolati, col supporto della ricchezza e della tecnologia, i parlamentari finiscono di dialogare col popolo che li ha eletti (attraverso metodi scorretti ed alienanti) per accordarsi tra di loro sul come governare e sul come gestire la realtà, decidendo sulla pelle degli elettori, che subiscono senza essere consultati le loro decisioni. Si decidono le tasse, gli oneri sociali e le regole di convivenza tenendo all’oscuro gli elettori, che sono costretti in un ruolo di sottomissione legalizzata come vera e propria forma di schiavitù. Si creano da soli le banche e si nominano i banchieri e la stessa giustizia viene relegata in un preciso ruolo di garanzia e di protezione del sistema politico e dei politici che lo rappresentano. Da questo momento i cittadini sono le vittime designate e perdono il diritto di poter contestare l’operato del governo che viene fatto pesare ingiustamente sui cittadini stessi. Un esempio di ingiustizia e di anti-libertà è il fatto che anche chi non ha un lavoro è costretto a pagare le tasse allo stato che, oltraggiando la stessa Costituzione, gli nega un lavoro. Questa è una forma di moderna schiavitù. Si viene a creare una forte contraddizione tra l’io e i fini che sono sorti dalla sua applicazione, in quanto anche lui fine e soggetto ad un atro fine più grande che è la vita e la sopravvivenza, ad un fine generale che dovrebbe occuparsi del fine comune, che implica la possibilità dignitosa della convivenza e del superamento della semplice utensilità delle cose in sé. La situazione che rappresenta il momento di libertà concreta presuppone la qualità della teticità e non l’astrattismo delle necessità storiche strumentali e corrotte. Solo nella teticità eidetica si può intravedere il principio di libertà, che è libertà in quanto superamento di ciò che si era, ma è anche rappresentazione di qualcosa, come un fine che cessa di essere tale nel suo stesso valore di fine, pronta ad essere superata in direzione di un’altra situazione. La libertà nella vita dell’umanità rappresenta sempre la base della morale: non può esserci una morale se l’uomo non è libero e lo è per condizione; dove sussiste alienazione e schiavitù è perché è stata volutamente ignorata la verità sulla condizione ontologica dell’uomo. Tutti gli uomini “sono condannati alla libertà” essendo cronologicamente protesi tra due momenti assoluti, la nascita e la morte, irriducibili e oscuri: il tempo intermedio gli appartiene; da questo non si può sfuggire se non con la morte e pertanto si è condannati alla sua utilizzazione esistenziale, quindi alla libertà, essendo costretti a scegliere il loro tempo e le loro situazioni, dove la non scelta equivale alla scelta, perché è scelta della non-scelta. Partiamo dal presupposto che l’uomo trovandosi nel mondo incarna una sua fattità ed ha una sua progettualità che si esprime in una serie di superamenti: la sua libertà si manifesta negli atti di superamento, che richiedono un ruolo attivo, d’impegno storico e di coscienza tetica, fuori da ogni sottomissione sociale. Non bisogna però non considerare che in ogni superamento c’è la conservazione di ciò che si era e quindi cambiare vuol dire migliorare lo stato che precede. Se l’uomo si sente oppresso all’interno di un sistema si può liberare solo grazie alla sua oppressione che gli consente di assumersi una nuova responsabilità di fronte al mondo. Se può conquistare la sua libertà è solo dovuto al fatto che si scopre schiavo e che tale scoperta lo pone con se stesso e con gli altri in una situazione di umiliazione e di alienazione che vuole abbattere e superare. Si trova incastrato tra ciò che non si vuole e ciò che si vuole raggiungere per liberarsi dal condizionamento e dall’alienazione. Quindi il suo bisogno di libertà lo costringe ad accettare lo stato di negatività in cui si trova potendo mettere in atto un progetto di superamento solo attraverso la coscienza di tale stato di negatività. Tutto questo consente all’uomo di restare all’interno del suo ruolo umano che lo mette alla prova davanti alla negatività che viene dall’esterno, cioè dalla storia, condannandolo alla libertà, cioè a intraprendere un processo di cambiamento, tendente al superamento della situazione in atto. La vita dell’uomo è perciò un continuo cambiamento di ciò che si è, cioè superamento di quanto l’esterno gli impone a sua insaputa e che può superare solo dopo aver preso coscienza di tale imposizione. L’esistenza, alla fine, è un continuo confrontarsi tra ciò che si è e ciò che si vuole essere e questo rappresenta uno stato di continua stanchezza: la stessa libertà rappresenta una fatica che richiede, per il suo raggiungimento, un impegno e un rischio esistenziale per cose e situazioni di cui il singolo non è responsabile. L’uomo è quindi totalmente determinato e totalmente libero, perché obbligato ad accettare il suo determinismo da cui potrà partire per mettere in atto il raggiungimento della sua libertà.

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