"THE END"

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giovedì 28 febbraio 2013

IN PENSIERO PER LA CRISI O PENSIERO IN CRISI?

di Piero Cammerinesi

“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.

Così scriveva Massimo Scaligero nel 1956 in una delle sue prime opere pubblicate, “Iniziazione e Tradizione”.

Queste parole ci possono aiutare a ‘fotografare’ il momento presente per comprendere come affrontare la gravità della situazione attuale da un punto di vista spirituale – il che però, attenzione, significa sia interiore che esteriore –. Poi torneremo a delineare meglio la dicotomia tra Tradizione ed Iniziazione, che viene evidenziata già nel titolo dell’opera.

PENSIERO COME STRUMENTO DI CONOSCENZA

Quando noi ci poniamo di fronte al mondo, alle cose, agli eventi ed anche a noi stessi, lo facciamo mediante uno strumento speciale: il pensiero. Il pensiero è lo strumento primario del nostro conoscere ma è al tempo stesso il meno conosciuto. Ci serve per conoscere ma noi non lo conosciamo. Conosciamo i pensieri già formati, i pensati dunque, ma non sappiamo come li conosciamo.

Se vi regalano un nuovo smartphone, che è lo strumento per attivare una serie di utili nuove funzioni e voi non sapete usarlo, che fate? O rinunciate a usarlo o vi studiate il libretto d’istruzioni. Se ‘smanettate’ senza conoscerlo è probabile che combiniate qualche pasticcio…

Se la vostra passione è studiare la lingua greca, che è lo strumento per leggere dei testi greci antichi non tradotti e non conoscete il greco che fate? O rinunciate a studiare quei testi o andate a scuola di lingua. Se improvvisate una lettura parziale perché conoscete qualche parola greca, rischiate di prendere fischi per fiaschi, o no? Se volete conoscere il mondo nella sua complessità, se volete interpretare gli eventi che accadono intorno a voi, se intendete avere un discreto grado di autoconoscenza che fate? Usate il pensiero, che di fatto è l’unico strumento per conoscere il mondo e se stessi.

Ma qualcuno vi ha mai insegnato ad usarlo?

Che stupidaggine, penserete voi, imparare a pensare è automatico, proprio come iniziare a camminare o a mangiare… Giusto. Mentre con lo smartphone studiamo le istruzioni e con la lingua andiamo a lezione, con il pensiero siamo autodidatti. Ora, però, se usando lo smartphone o leggendo il greco classico facciamo dei pasticci, di regola ce ne accorgiamo subito, perché la realtà esteriore ci corregge. L’e-mail non parte, internet non si connette… Ma se sbagliamo con il pensiero? Nella vostra vita non vi è mai capitato di scoprire che un certo giudizio su una persona, una certa convinzione su un avvenimento esteriore, una determinata immagine che avevate di voi stessi si sono poi dimostrate errate?

Allora, secondo la nostra analogia dovremmo avere:

Smartphone → strumento per email, internet etc → Usare lo smartphone correttamente → imparare ad usarlo. Lingua straniera → strumento per leggere testi non tradotti → Leggere una lingua straniera correttamente → imparare la lingua. Pensiero → strumento per gestire la nostra vita → Pensare correttamente → imparare a pensare.

Ma nessuno ci ha mai parlato di una scuola del pensiero che ci insegnasse a usare questo strumento nel modo migliore. Eppure saper usare correttamente il pensiero è ben più importante del saper usare l’ultimo cellulare o saper leggere il greco classico. Nel primo caso, non sapendolo usare,possiamo commettere degli errori catastrofici che coinvolgono tutta la nostra vita mentre negli altri andiamo incontro a errori rimediabili. Il pensiero determina tutta la nostra esistenza e spesso non ci accorgiamo quando sbagliamo, se non è la vita stessa a farcelo capire magari con una bella mazzata.

Come conosco io il mondo, a partire dal primo istante in cui apro gli occhi di fronte alla natura esteriore ed al mio stesso sé? Grazie ai sensi io ho la percezione di un oggetto o di un avvenimento, grazie al pensiero vi aggiungo dei concetti, li metto in relazione tra loro, interpreto ciò che ho in tal modo davanti alla mia coscienza, ne ho un certo sentimento di simpatia o antipatia, di piacere o dispiacere, formulo dei giudizi, ed infine reagisco con una azione. Questa azione inevitabilmente avrà delle conseguenze sul piano esteriore che si rifletteranno sulla totalità della mia vita.

Gli indiani chiamavano karma la legge che determina le conseguenze delle azioni compiute. Il karma è quanto mi ritorna dal mondo esteriore come evento positivo o negativo determinato dalle mie azioni.

Ma se il pensiero iniziale con cui ho interpretato l’evento che mi capita era errato, che succede? Succede che con tutta probabilità io - giudicando scorrettamente la situazione - agirò anche in modo errato. Dunque il mio karma, le conseguenze delle mie azioni, non potrà che essere negativo. Perché avviene una cosa particolare se io non so pensare a fondo un avvenimento; quando si tratta di reagire, di passare all’azione, non è il pensiero che reagisce e determina l’azione, ma gli stati d’animo e l’istinto.

L’istinto si sostituisce inavvertitamente e illecitamente alla nostra azione cosciente.

Il sonno del pensiero – per parafrasare Lukacs – genera mostri.

Quante volte abbiamo detto: “Volevo fare così ma poi ho fatto in un altro modo, volevo dire questa cosa a quella persona ma poi ho detto tutt’altro…”

Ecco, il pensiero dormiva e l’istinto ha agito. L’istinto è l’illecita ingerenza della mia fisicità, del mio egoismo, della convenienza individuale nelle scelte della mia vita. Non parlo solo di egoismo spicciolo, ma di un approccio generalizzato al mondo. Nietzsche, per esempio, parlava di istinto dei filosofi: persino alla base della filosofia ci sarebbe – secondo lui - volontà di potenza! I filosofi – afferma - vogliono aver ragione, vogliono prevalere sugli altri con la propria visione del mondo; per questo nasce la filosofia, perché è più conveniente la verità che la non-verità.


“Il pensiero cosciente di un filosofo è per lo più segretamente diretto dai suoi istinti e costretto in determinati binari. Anche dietro ogni logica e la sua apparente sovranità di movimento stanno apprezzamenti di valore, o per esprimermi più chiaramente, esigenze fisiologiche di una determinata specie di vita."

Friedrich Nietzsche (Al di là del bene e del male)

“Eppure abbiamo studiato tanti anni - penserete voi - qualcosa avremo pure imparato di questo strumento”. Il problema è che la scuola non ci ha insegnato a pensare, ma ci ha trasmesso solo dei pensati e per di più non nostri, ma di altri. Abbiamo appreso la Storia della Filosofia, non a filosofare! Quando mi è stato insegnato a distinguere i pensieri giusti da quelli sbagliati? Come uso il pensiero per guidare la mia vita?

PENSIERO DIMEZZATO

Abbiamo visto:

Se pensiamo male → interviene l’istinto → azione errata → karma negativo

Se pensiamo correttamente → sostituiamo la coscienza all’istinto → azione giusta → karma positivo

Questo naturalmente vale sia per la vita esteriore che per quella interiore (la conoscenza di me stesso, dei miei sentimenti, inclinazioni etc.).

Se io non mi conosco veramente credo, ad esempio, che di fronte ad un determinato avvenimento reagirei in un certo modo, mentre poi magari reagisco in tutt’altro modo… Padroneggiare il mio strumento di conoscenza, il pensiero, mi consente di riconoscere la verità fuori di me e quindi anche di dirigere in modo autentico il timone del mio giudizio verso la giusta decisione e la giusta azione.

Ad esempio ci siamo mai chiesti perché nella nostra giovinezza ci siamo a un certo punto sentiti di destra o di sinistra, o perché abbiamo scelto tale o talaltra squadra sportiva, o perché abbiamo fatto una certa scelta professionale? Perché a volte ci infatuiamo di un’idea, di una persona, di un leader, di un maestro, salvo poi gettarlo – al primo dubbio o delusione – dall’altare alla polvere? Siamo stati noi a scegliere o chi o cosa ha scelto per noi? Se cerchiamo di indagare magari scopriamo che fu per via della nostra famiglia, dei nostri amici o del nostro ambito sociale, o forse – al contrario - per reazione a quelli. D’accordo, ma perché in noi ci fu, ad esempio, adesione a certi modelli mentre in altre persone a noi vicine prevalse la reazione? Possiamo provare a capire la questione mettendo in relazione i vari eventi che ci hanno portati a essere quelli che siamo. Ma la relazione tra un momento e l’altro di un evento, di un fenomeno, è una relazione di pensiero. Tuttavia a noi questa relazione, di regola, sfugge perché non siamo coscienti di come opera il pensiero nel mettere in relazione.

Pensate che non sia importante capirlo?

Se approfondiamo questa indagine ci accorgiamo che spesso quelle sono state scelte karmiche,scelte che coinvolgono tutta la nostra vita, ma che nulla hanno a che fare né con una verità oggettiva né con l’essenza del nostro Io. Intendo dire che la maggior parte delle scelte della nostra vita sono state determinate da un pensiero non consapevole dello scenario generale della nostra esistenza, dunque, da un pensiero dimezzato. Non solo: spesso anche le nostre convinzioni più profonde non sono nostre, ma, diciamo così, prese a prestito dal mondo circostante.

PENSIERO VIVENTE

Siamo attori o comparse nella stessa nostra vita, interiore ed esteriore?
È evidente che dalla risposta a questa domanda scaturisce poi ogni decisione, giudizio, azione – o non-azione – della nostra vita.

Come si diceva, sembrerebbe necessario imparare a pensare.

Cosa significa?

Il pensare a cui mi riferisco non è quello che si esprime nella forma del sapere o del giudizio, dell’opinione o dello stato d’animo, ma è l’attività di pensiero tramite il quale queste forme sorgono nella nostra coscienza.


“Il vero pensiero non è il pensiero già caduto nella forma come forma di una cosa o di uno stato d’animo o di un giudizio, o di un sapere – che può anche essere sapere spiritualistico – ma il pensare grazie a cui questa forma sorge, onde l’oggetto si dà come pensiero, perché si crede di vedere l’oggetto”. Massimo Scaligero (Trattato del Pensiero Vivente)

Ciò che è alla base di ogni nostra attività conoscitiva prima di articolarsi in pensati lo chiamiamo pensiero vivente.

Con i pensieri in realtà noi crediamo di vedere l’oggetto del nostro pensare – l’oggetto esteriore, l’evento – ma non ci avvediamo di essere di fronte a dei pensati. Crediamo che siano degli oggetti ma sono solo pensieri, pensati. I pensati hanno perso ogni possibilità di essere strumento di conoscenza della totalità del mondo, servono solo a indagare il misurabile. Sono pensati, appunto, già definiti, rigidi, morti.

Ricordate il mito platonico della caverna?

Alcuni prigionieri sono legati sul fondo di una caverna dove hanno sempre vissuto senza potersi girare. Fuori dalla caverna c’è un muro ad altezza uomo dietro al quale camminano persone che portano sulla testa statuette raffiguranti degli oggetti; persone che parlano e il loro eco rimbomba nella caverna. Dietro queste persone vi è un fuoco che proietta le immagini degli oggetti sulla parete della grotta davanti agli uomini legati. Non avendo mai visto nient’altro della realtà, i prigionieri, osservando le ombre, pensano che questa sia la realtà. Uno di loro, però, si libera e si volta; vede allora le statuette e si accorge che sono più reali delle ombre; poi esce dalla grotta, oltrepassa il muro e inizialmente è accecato dalla luce del sole. Poi si guarda intorno e vede il mondo, la natura, e nota che tutto è più vero degli oggetti che sono proiettati. Dopo essersi chiesto da dove provenga la luce, si accorge che è il sole a dare significato a tutto.

Il sole è il pensiero vivente, mentre le ombre sul fondo della caverna sono i pensati con cui abbiamo quotidianamente a che fare. Non sapere cosa proietti le ombre sul fondo della caverna non ci permette di conoscere la vera realtà e ci fa vivere in un mondo spesso incomprensibile, ma non solo. Ignorare la presenza del sole ha anche un’altra conseguenza; se non sappiamo cosa proietti la luce (pensiero vivente) che disegna le ombre sul fondo della grotta (pensati) non siamo liberi nelle nostre scelte.

LIBERTÀ

Se non sappiamo cosa siano realmente quegli oggetti che si muovono nella nostra coscienza (le statuette sulla testa delle persone, di cui vediamo solo le ombre) e di cui ignoriamo il modo con cui le conosciamo (il pensiero vivente) non possiamo formulare giudizi certi né tantomeno azioni coscienti. Se mi sono perso nel bosco di notte ed ho due sentieri davanti a me ma non so dove portino, la mia scelta non potrà certo essere libera. Magari uno porta verso l’uscita dal bosco e l’altro verso un dirupo; se non so quale sia quello giusto scelgo a caso o, meglio, scelgo seguendo il mio istinto. Ma l’istinto non è cosciente per definizione, anzi è proprio l’espressione dell’azione del karma che opera nel sonno della mia coscienza.

Se seguo l’istinto sono nell’elemento della non-libertà.

Per conoscere dove portino i due sentieri – o cosa sia a proiettare le ombre sul fondo della caverna – devo essere prima di tutto padrone della mia attività conoscitiva. La padronanza stessa implica attività conoscitiva, vale a dire azione. Azione interiore. Qualcosa di attivo che presuppone esperienza interiore e non solo adesione – più o meno consapevole – a pensati miei o di altri.

TRADIZIONE E INIZIAZIONE

Ecco che ora possiamo tracciare la differenza sostanziale tra Tradizione e Iniziazione. La Tradizione, per quanto nobile ed elevata possa essere - una visione spirituale, una religione, una rivelazione - è pur sempre costituita da pensati, diviene dogma, conformità, invece che vita interiore.

L’Iniziazione, invece, evoca il concetto di azione, esperienza, attività pensante. Dunque una Via attiva verso la conoscenza, che passa attraverso uno sviluppo dell’attività pensante, mediante meditazione, concentrazione, ed altri appositi esercizi per sviluppare pensare, sentire e volere. Ricordate l’analogia: Smartphone/lingua greca/pensiero?

VIA DEL PENSIERO VIVENTE

Il pensiero vivente, (il Sole nell’esempio platonico) la forza predialettica può o proiettarsi nei pensati (ombre sul fondo della caverna) - come avviene ordinariamente nella nostra vita – oppure, se realizza la propria indipendenza da qualsiasi tema o oggetto (oggetti che proiettano le ombre) può divenire autentica forza conoscitiva di se stessi e del mondo: pensiero puro.

Il pensiero puro realizza la sua indipendenza da qualsiasi pensato e diviene strumento principe di conoscenza di sé e del mondo. E l’attività pensante è l’unica attività che, grazie alla contemplazione, può conoscere se stessa. Una via di conoscenza che, nella prosecuzione dell’opera diRudolf Steiner è stata consegnata a noi da Massimo Scaligero. Parliamo di conoscenza attiva, esperienza reale, non conoscenza di pensati. Se sono solo pensati oltre a non consentirci la libertà, non ci permettono neppure la moralità.

Il compito appare dunque quello – una volta sperimentata la realtà e verità dei nostri pensieri – di immetterne i conseguimenti che abbiamo realizzato – la trasformazione di noi stessi – nel mondo esteriore, nel cosiddetto mondo reale.

E se abbiamo lavorato bene sulla Via del pensiero puro, elaborando il nostro strumento conoscitivo, e abbiamo imparato a far agire il nostro volere (le scelte, le decisioni, le azioni) in accordo con tale strumento, noi sostituiremo alla percezione esteriore una percezione interiore e la nostra azione non potrà che essere morale.
Io vedo un portafogli per terra (percezione esteriore). Posso o mettermelo in tasca o sostituire a quella percezione quella (interiore) che mi porta a consegnarlo a chi possa ritrovarne il proprietario.

Questa sostituzione della percezione è l’atto morale.

“Un passo avanti nella conoscenza e tre nella moralità”

Rudolf Steiner (Iniziazione)

FANTASIA MORALE

Ma la moralità può essere libera o imposta. Se seguo una morale imposta non sono libero.

Il concetto di fantasia morale implica l’indipendenza della mia scelta da leggi, religioni, consuetudini etc. e la consapevolezza delle mie scelte morali e dunque delle mie azioni. Se correttamente attuata, porta a identità di spiritualità e vita.

In una parola coerenza.

E torniamo alla citazione d’inizio per avviarci verso la conclusione di queste note.

“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.

Ora, in questo momento che può essere “gravemente distruttivo per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito” la fantasia morale dei singoli, di ciascuno di noi, ha bisogno di svilupparsi e di collegarsi a quella dell’altro.

L’altro, che, se lavora nella stessa mia direzione – anche se può avere opinioni diverse, se pensa in modo diverso da me – non è qualcuno da criticare ma da capire.


“Come mai l’altro ha un’opinione diversa dalla mia? Ma perché siamo uomini, perché l’altro è la gamba sinistra ed io sono la destra. Ora capisco. Lui non è costretto da qualcosa, la vede semplicemente diversamente, ma è la stessa cosa”. (Judith von Halle)

L’altro, le sue opinioni, le sue capacità, sono per me un arricchimento.

Perché? Perché egli mi offre l’occasione di capire quali siano le sue caratteristiche, le modalità del suo pensare/sentire/volere, mi dà la possibilità di accedere a pensieri, considerazioni, giudizi cui io – per la mia specifica natura – non saprei arrivare.

L’albero che vedo da una peculiare prospettiva – la mia – non è l’intero albero. Ho bisogno della tua prospettiva, della sua e di quella di chi ci sta sotto, di chi ci sale sopra etc. Solo allora potrò avere l’intera visione dell’albero. Ecco che diventa un preciso dovere dei ricercatori genuini della conoscenza e dei pionieri di un mondo etico – come vorremmo definirci oggi – quello di collegarci, scambiare opinioni, ascoltare gli altri e agire insieme agli altri. Quest’azione, se nasce dalla fantasia morale, ha un aspetto molto particolare; non venendo motivata da interessi personali, egoismi o dal comune denominatore dell’appartenenza a un partito, a una religione etc, può condurre ad una autentica fondazione di comunità.

FONDAZIONE DI COMUNITÀ

La fondazione di comunità ha bisogno di due presupposti: spregiudicatezza e fiducia.

La spregiudicatezza fa sì che noi ascoltiamo le opinioni dell’altro prima di giudicare. Lui la vede diversamente da me ma forse a me è sfuggito qualcosa. Non è detto che la sua opinione sia del tutto sbagliata.

La fiducia – che deve comunque venir rivolta a tutti gli esseri umani - è il tessuto connettivo tra gli esseri umani che lavorano per la verità, che condividono i miei stessi ideali.

La fondazione di comunità nel senso accennato è qualcosa di ancora prematuro sulla terra. È un legame invisibile che inizia a collegare esseri che percorrono una Via spirituale e ne condividono i frutti. È un seme di un’associazione tra esseri umani che non nasce dal minimo comune denominatore del denaro, del potere, dell’appartenenza allo stesso partito; è un seme fondamentale da porre oggi nella terra.

Piccola parentesi personale; vivendo negli USA ho conosciuto molte persone che in un Paese estremamente controllato e radicalmente materialista come gli Stati Uniti - in particolare dal 2001 - lottano per far emergere la verità, ad esempio di fatti come l’11 settembre o la vicenda di Al Qaeda o di Osama Bin Laden o l’assassinio di John F. Kennedy. Persone che, come il mio amico Massimo Mazzucco, con il quale abbiamo trascorso serate a discutere di questi argomenti, rischia in prima persona con le sue ricerche e i suoi documentari. Ebbene Massimo non segue una via spirituale e per certi versi le mie opinioni divergono dalle sue ma è un giornalista coraggioso che persegue la verità a proprio rischio e pericolo. Come posso non considerare questo lavoro connesso alla stessa mia battaglia, al mio impegno per un mondo più etico?

Stesso discorso vale per molte altre persone, ad esempio l’amico Paolo Franceschetti, che qui in Italia lavora da anni per smascherare poteri occulti che si sono macchiati di imposture e di crimini. Anche se su alcune cose che lui asserisce posso avere delle riserve, la sua lotta, il suo lavoro, l’impegno di una persona onesta e coraggiosa non può non farmelo riconoscere come un compagno di percorso. Io non posso pretendere di condividere ogni singola parola dell’altro – scagliandomi magari contro di lui se su 10 argomenti ce ne sono 2 o 3 su cui abbiamo opinioni differenti – ma devo mettere l’accento sulle istanze fondamentali che ci uniscono.

Altrimenti coloro che vogliamo smascherare, cui vogliamo impedire di degradare la terra, la politica, i media, il nostro futuro, avranno facile gioco con il più classico divide et impera.

Sembrano affermazioni lapalissiane, anche un po’ qualunquiste, ma proviamo ad interpretarle alla luce di quanto ho detto prima a proposito del pensare. Perché se queste affermazioni sono soltanto una generica convergenza con l’altro per il raggiungimento di un fine comune, allora non avrò fatto altro che riproporre con altra veste una alleanza politica, magari solo per arrivare al potere. Tuttavia, se vi applico la “griglia” di una ascesi del pensiero la questione cambia completamente. Non è più il fine quello che conta, ma è il mezzo. Perché il mezzo stesso – cioè il modo in cui io agisco su me stesso e nel mondo diventa d’incanto il fine che è quello di immettere nel mondo circostante l’azione magica di un pensiero etico, di una fantasia morale.

Non posso trovarmi d’accordo con l’altro per esempio sul vegetarianesimo e poi insultarlo solo perché non ha le stesse mie posizioni sull’agricoltura biodinamica o sul signoraggio. Ed è quello, purtroppo che vediamo capitare quotidianamente.

FIDUCIA E FRATERNITÀ

Quando Massimo Scaligero teneva le sue riunioni a Monteverde, a Roma, negli anni ’70, vi partecipavano l’estremista di destra e quello di sinistra, il benpensante e il carabiniere.

Poteva accadere che mi trovassi seduto tra un picchiatore fascista e un attivista di Lotta Continua. Eppure nulla ci divideva: bastava un’occhiata, una battuta del Maestro e tutto si chiariva – e schiariva – perché le persone e i loro apparenti contrasti si parlavano attraverso di lui. E lui portava la pace. Perché? Perché la visione particolare (politica, religiosa, intellettuale) – dei pensati – veniva illuminata, direi sgretolata, dalla visione spirituale, dal pensiero puro.

Per questo motivo una politica spirituale è una contraddizione in termini. È un ossimoro, come la ‘guerra umanitaria’ o il ‘fuoco amico’. Quello cui noi possiamo lecitamente riferirci è un movimento politico che prenda le mosse da uno sviluppo spirituale dei suoi membri. Portare pace deve diventare il nostro compito. In particolare oggi vediamo tante persone – anche entusiasticamente anelanti un mondo migliore, una società più giusta – che però commettono ancora il colossale errore di scagliarsi con odio verso gli altri identificando in certe persone o formazioni politiche o economiche il male assoluto, dimenticando il concetto fondamentale della corresponsabilità del male.

Se abbiamo questo governo, questi politici, non è solo perché li abbiamo votati, ma perché rappresentano il nostro attuale livello morale, sono l’icona del livello etico del nostro popolo. Una buona parte di questo popolo, di noi, si comporterebbe come loro, se solo avesse l’opportunità di essere al posto loro. Ora, in questo particolare momento di risveglio delle coscienze in cui sorgono movimenti molto forti come gli Indignados in Spagna, Occupy Wall Street negli USA, la differenza che dovrebbe caratterizzare ogni movimento i cui appartenenti vogliano conquistarsi un’esperienza spirituale del mondo è proprio questa: partire dalla consapevolezza della propria corresponsabilità per quel tanto di male, di violenza, d’ingiustizia che ci sono nel mondo e rispondere a esse con un pensiero libero – conoscere le cause e elaborare le azioni da mettere in campo - e con un giudizio - anche duro - nei confronti dell’azione, ma non di colui che la compie.

Oggi la palla è nel nostro campo, sta a noi tutti attivare quel pensiero che ci permette una conoscenza autentica di noi stessi e del mondo e che porta in sé l’elemento morale. Esso rappresenta l’unico terreno sul quale possa germogliare il seme della fiducia e della fraternità, condizioni indispensabili per uscire da ogni crisi, sia interiore che esteriore.

Fonte:
http://www.altrogiornale.org

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