"THE END"

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giovedì 25 ottobre 2012

Il vero significato di 'STICAZZI e di altre espressioni del dialetto romano



Alcuni sostengono che il romano (o romanesco)non è un dialetto ma un vernacolo, altri lo considerano una parlata, altri ancora un dialetto vero e proprio. Prima di ogni altra cosa, comunque, il dialetto romano è storia, ha una letteratura di tutto rispetto (basta pensare al Belli o a Trilussa, ma anche banalmente al film Il Marchese del Grillo). In questo post, che fa seguito al post sull'etimologia e l'uso del termine càzzo, vi spiegherò soprattutto il significato dell'espressione'sticazzi e di alcune altre locuzioni tipicamente romane.

'sticazzi

È scientificamente provato (lo sanno tutti, ci sono le prove) che il 90% dei non romani usano 'sticazzi in modo sbagliato. E allora chiariamo subito che a Roma 'sticazzi non è sinonimo di "wow!" come molti erroneamente credono. Ha il significato esattamente contrario: significa "non me ne importa niente".

Esempio corretto:

  • collega: Sai che mi hanno nominato Direttore Generale?
  • risposta: E 'sticazzi (varianti: e 'stigrancazzi! oppure: e 'sticazzi nun ce lo metti?) 
traduzione: il fatto che ti abbiano promosso non suscita in me alcun interesse né la benché minima ammirazione.Esempio sbagliato:


  • domanda: Devi alzarti presto per andare a lavoro?
  • amico: No, sono il Direttore Generale e faccio come mi pare.
risposta: 'sticazzi! Ti ammiro davvero!Questo secondo dialogo è esemplificativo dell'uso sbagliato dello 'sticazzi. Un romano, infatti, sceglierebbe piuttosto tra due espressioni, la prima per una persona antipatica la seconda per un amico:

me cojoni! = riconosco il tuo risultato, ma intendo sminuirlo e sottolineare la tua boria
mortacci! = sono sinceramente ammirato e felice per te

Per una lezione magistrale sull'uso di me cojoni e 'sticazzi vedete il video di Enzo Castellari. Una esemplificazione eloquente sull'uso dello 'sticazzi si trova anche nello spezzone di Mastroianni e nel film Maschi contro Femmine con Paola Cortellesi. La differenza tra uso corretto e uso scorretto di 'sticazzi è spiegata da Enrico Brignano alle Invasioni Barbariche.

'sto càzzo
Per i non romani (que)sto càzzo è semplicemente il singolare di 'sticazzi. E invece manco pe' gnente! (=le cose non stanno assolutamente in questo modo). Dato che lo considerano il singolare di 'sticazzi, lo usano nello stesso modo sbagliato pensando che sia un'esclamazione di ammirazione.
Il romano quando utilizza l'espressione 'sto càzzo la accompagna con il tipico gesto delle mani che tracciano nell'aria il perimetro di un triangolo la cui base inizia all'altezza del viso e il cui vertice poggia inequivocabilmente sull'inguine. 'Sto càzzo è frequentemente utilizzata come risposta in svariate circostanze, ad esempio:

  • D: Che si mangia stasera? R: 'Sto càzzo.
  • D: (al citofono) Chi è? R: 'Sto càzzo.Questo secondo esempio richiama un'altra locuzione romana: "Fra' Càzzo da Velletri". Velletri è una cittadina dei Castelli Romani piuttosto famosa per aver dato i natali a questo tanto citato quanto ignoto frate Càzzo. Un nome piuttosto impegnativo, che ha meritato al religioso una gloria imperitura. I romani usano Fra' Càzzo da Velletri come risposta quando ritengono sciocca la domanda dell'interlocutore. Esempio:
  • D: E poi chi ha cambiato la ruota della macchina? 
  • R: Fra' Càzzo da Velletri (=chi altri vuoi che abbia cambiato la ruota della macchina? Io, naturalmente).
  • D: (al citofono) Chi è? 
  • R: Fra' Càzzo da Velletri (=perché mi porgi questa domanda quando la risposta è palesemente scontata?).

Uno degli usi più comuni di 'sto càzzo è quello di utilizzarlo come aggettivo dimostrativo con l'aggiunta di "de", ad esempio: 'sto cazzo de semaforo è sempre rosso, 'sti cazzo de auti nun passano mai (a Roma "auti" è il plurale di auto = autobus).

Bella fratè
È il saluto tipicamente romano, utilizzato prevalentemente nella fascia di età tra i 15 e i 35 anni e via via sempre più infrequente. Perché gli anziani non lo utilizzino è un mistero a tutt'oggi insoluto.
Il Bella fratè viene considerato anche il simbolo del linguaggio coatto. Il vero e proprio saluto è "bella", che sottintende "mi auguro che questa giornata sia bella per te". Il bella viene solitamente personalizzato con il nome dell'amico: bella Francè, bella Giusè, bella Robbè, bella Mà (che può essere: bella Mamma, bella Marco, bella Marisa, bella Manilo etc.).

Nun m'hai da rompe er càzzo
Espressioni simili: m'hai popo popo rotto er càzzo o nun me cacà er càzzo. Quando senti pronunciare questa espressione ad un romano è meglio che, qualsiasi cosa stai facendo, smetti di farla. Perché i romani sono tutticavalieri neri (se non conosci la storiella, vedi il video Er cavaliere bbianco e er cavaliere nero). E se non smetti poi so' càzzi (tua).

Altre espressioni tipiche e molto diffuse a Roma (ma non esclusivamente) sono:

cazzàro (persona poco attendibile che tende ad amplificare narrativamente la realtà)
cazzòne (individuo poco affidabile, propenso a giocare e scherzare anche in consti poco opportuni, spesso poco sveglio dal punto di vista intellettivo)
rompicàzzo (persona molesta --> nun m'hai da rompe er càzzo)Frequentemente queste espressioni sono precedute dal vocativo 'a ('a cazzaro! 'a cazzone! 'a rompicazzo). In questi casi è obbligatorio alzare il tono della voce e allungare la vocale finale: 'a cazzarooooooooo!
Quando la frase inizia con 'a (ad esempio: 'a fijodenamignottaaaaaaaa!) il vero romano deve poggiare la mano di taglio sulla guancia, o con il palmo rivolto verso l'esterno (come nella foto qui sopra) o con il dorso della mano controlaterale accanto alle labbra. Non fate l'errore di pensare che questo serva per amplificare il suono: tale gesto va eseguito anche quando l'interlocutore si trova a 5 centimetri da voi.

Fijo de na mignotta
Esistono centinaia di modi per indicare chi pratica il mestiere più antico del mondo. L'espressione più tipicamente romana è senza alcun dubbio mignotta. Come è noto, mignotta deriva dalla contrazione di m(ater) ignota, cioè "madre sconosciuta". Si scriveva sui documenti degli orfani, i quali quindi risultavano letteralmente dei figli di una mignotta. Quando si utilizza tale espressione, tuttavia, non si intende mettere in dubbio l'onorabilità della madre ma ribadire la stronzaggine del figlio. Il gesto che accompagna fijo de na mignotta può essere sia quello della mano accanto alla bocca (quando viene urlato a qualcuno che ha fatto o sta facendo qualcosa che consideriamo riprovevole) sia quello del braccio teso, nel qual caso fijodenamignotta non viene urlato ma detto fra sé e sé: "anvedi 'sto gran fijo de na mignotta".

Càrcola
Letteralmente significa "calcola", cioè "tieni conto che...". Nell'uso romanesco quotidiano è un riempitivo, un invito a porre attenzione su ciò che si sta dicendo: "carcola che quando sono arrivato lì c'era 'na fila che partiva dar Tufello" (possibili risposte: me cojoni, 'sticazzi).

'tacci tua
L'invocazione dei parenti defunti è molto frequente tra i romani. 'Tacci tua è la forma contratta di a li mortacci tua. Altre varianti sono: mortacci!, alimò!. Se venite nella Città Eterna sentirete spesso anche l'espressione 'tacci de Pippo. Non si è mai capito chi fosse questo Giuseppe (Pippo) né cosa abbiano fatto di così grave i suoi congiunti, ma deve essere qualcosa di molto grave perché qui a Roma vengono ingiuriati spessissimo.
A noi romani piace essere precisi, per cui spesso specifichiamo anche quante generazioni di parenti defunti stiamo ingiuriando: 'tacci tua e de tu nonno.
Il Pupone in foto mostra il gesto tipico che accompagna il 'tacci tua. Il braccio proiettato verso l'avversario è usatissimo soprattutto nei litigi automobilistici. Se si va sulla Nomentana o sulla Salaria nell'ora di punta si può ammirare una selva di braccia tese che neanche nei raduni dei Figli della Lupa.

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