"THE END"

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mercoledì 16 maggio 2012

Il buddhismo

Una religione sostanzialmente differente dalle più consuete da noi occidentali conosciute è il buddhismo. Già l’iconografia prima di iniziare lo studio ci mostra un’immagine del Buddha assorto in meditazione con un volto serafico che sottintende un animo sereno lontano dai dolori e dalle angosce del mondo; l’occhio dell’occidentale è colpito dal contrasto con l’immagine della nostra divinità, Gesù Cristo, rappresentato in croce sofferente perché sottoposto al più barbaro supplizio che i romani riservavano ai più umili tra i condannati. Molti di noi conoscono sommariamente la storia del buddhismo, ma pochi conoscono la sua filosofia, pochissimi sanno cosa è il buddhismo nella sua essenza, e quale è il suo messaggio fondamentale, i motivi di questa scarsa conoscenza stanno nella difficoltà di accedere ad un insegnamento che risulta difficile e sicuramente diverso da quello che noi europei intendiamo per religione.

Il buddhismo nella sua forma originaria, rifiuta infatti qualsiasi dipendenza da credenze soprannaturali, al punto che diversi autori occidentali hanno definito il buddhismo una religione atea, sostanzialmente perche nel buddhismo non è contemplata l’esistenza di un dio, ma il buddhismo dimostra che una religione può essere tale senza la fede in Dio che della religione è solo un aspetto. Il Buddha (l’Illuminato) che è semplicemente considerato un uomo, nato e morto come tale, ha insegnato all’uomo la strada per emanciparsi dal dolore, egli attraverso la meditazione ha raggiunto l’illuminazione, che consiste nell’aver compreso la verità sulla condizione dell’uomo, ed aver trovato il rimedio alla sofferenza. Il buddhismo non contemplando l’esistenza di entità sovrannaturali ritiene che l’uomo debba emanciparsi con le proprie forze, e il proprio impegno verso la liberazione. Il buddhismo nella sua essenza è un insegnamento finalizzato al superamento del dolore e della sofferenza. L’insegnamento fondamentale del Buddha, il Dharma, è contenuto in Quattro Nobili Verità rivelate dallo stesso Buddha nel Sermone di Benares. La prima Nobile Verità indica l’universalità del dolore, qui si insegna che nessun uomo può sfuggire alla condizione miserevole e dolorosa, dal momento che si è nati si dovrà invecchiare e morire e nessuno potrà sottrarsi. La seconda Nobile Verità spiega l’origine del dolore, che per il buddhismo è dovuta all’ignoranza che ci induce all’attaccamento alle cose relative e mutevoli del mondo. La terza insegna la via per sopprimere il dolore, qui con la pratica meditativa si impara a rimuovere l’attaccamento alle cose relative e condizionate. La quarta insegna otto necessarie virtù di rettitudine che ci permetteranno di superare il dolore. Se come abbiamo visto il dolore è centrale nel messaggio filosofico buddhista, ora dobbiamo capire cosa si intende nel buddhismo per dolore(dukkha). Nel buddhismo la sofferenza ed il dolore non si devono intendere quello che noi occidentali con queste parole intendiamo, cioè una spiacevole sensazione fisica; il dolore nel buddhismo è una consapevolezza culturale, una condizione esistenziale. Si dice che la malattia, la vecchiaia, la morte sono dolorose, e tutta la vita dell’uomo e soggetta a sofferenza, ma il motivo di tanto pessimismo è soprattutto originato dalla constatazione che nel mondo e nella realtà dell’uomo tutto è impermanente (anicca), senza una sostanza inerente (anatta), relativo quindi: che vale “quel tanto e non di più”, è questa la ragione più profonda del dolore buddhista. In questo tipo di pensiero si coglie in pieno quel generale fondo di insoddisfazione che deriva da tutti i beni e i piaceri che la vita ci riserva.




 Il motivo centrale della sofferenza nella filosofia buddhista è la constatazione della natura relativa e condizionata della vita dell’uomo e dei fenomeni, il rammarico di non trovare nella vita nulla di assoluto e permanente, in questa frustrazione il buddhismo mostra la sua natura religiosa, e come altre religioni non ritiene appagante e definitiva ed accettabile la realtà materiale. E’ un comune denominatore dei principali sistemi religiosi l’alienazione nei confronti della realtà materiale, e l’incapacità di accettare la realtà nei suoi aspetti più sgradevoli, è lo scopo principale che motiva i maggiori sistemi religiosi. E’ necessario osservare come il pensiero buddhista scopra il velo della vera essenza della religione, di tutte le religioni, che trovano la loro basilare motivazione, il loro primario impulso, nel offrire una alternativa al mondo e alla realtà; spesso il seguace non indaga nella veridicità, nell’efficienza dei modi offerti dalla religione, egli si appaga immaginando possibile una strada alternativa al mondo, egli quindi non crede e segue la religione perche la ritiene vera ed infallibile, ma la segue per appagare il suo bisogno di fantasticare, rendendo la propria interiorità psichica prioritaria sulla realtà esterna con la pratica della meditazione. L’ignoranza nel buddhismo consiste in definitiva nell’attribuire valore assoluto alle cose impermanenti e relative. Tutti gli elementi sono privi di un sé/ Tutto ciò che è condizionato è impermanente/ quando questo si vede con l’occhio della saggezza/ Allora se ne ha abbastanza della sofferenza/ questo è il cammino della purezza.


 dal capitolo Magga Vagga del Dhammapada. La liberazione dallo stato di insoddisfazione, dolore e sofferenza in cui l’uomo vive, è lo scopo del buddhismo. Centrale nella pratica religiosa è la meditazione, che ridotta all’essenziale si può definire uno stato di concentrazione mentale su fenomeni sensoriali semplici, come per esempio l’attenzione sul respiro, ma il cuore della meditazione buddhista è un una disciplina di attenzione sempre più acuita, finalizzata alla comprensione della realtà materiale e fenomenica con lo scopo ultimo di comprendere la natura impermanente, dolorosa, condizionata, ed inappagante dei fatti della vita e del mondo, ottenendo in questo modo un distacco che è la via buddhista verso la liberazione che conduce alla liberazione dal dolore. “Soltanto mediante l’attenzione si potrà discernere l’errore derivato dall’ignoranza della vera realtà delle cose, soltanto mediante l’attenzione si potrà verificare la nostra atavica ignoranza che ci impedisce di intuire con evidenza che l’impermanenza (anicca) delle cose è la causa unica di sofferenza” tratto dall’introduzione del Dhammapada di Luigi Martinelli. Il nirvana (nibbana) che è la meta dei buddhisti, significa spegnimento, estinzione, resta in ogni caso una parola dai molteplici significati: tra i più consueti si intende la fine delle rinascite, la fine della sofferenza, ma anche uno stato di distacco da tutto compresa la propria vita, il nirvana resta in ogni modo un’esperienza psichica raggiungibile parzialmente nella vita, ed ottenibile in modo definitivo e privo di contaminazioni solo con la morte(parinirvana). Ora si comprende come il buddhismo sia differente, anzi antitetico al cristianesimo, dove lo scopo ultimo resta la vita eterna, quindi la salvezza dalla morte. Dal tronco delle parole del Buddha, si sono diversificati nel corso dei secoli tre grandi rami: il Piccolo Veicolo (Hinayana) anche detto Theravada che significa insegnamento degli anziani, oggi questa tradizione è diffusa in Birmania, Thailandia, Ceylon, Cambogia, Laos, Viet-Nam, quindi nel sud dell’Asia. Il Grande Veicolo (Mahayana) una scuola di pensiero che ha mantenuto il messaggio originale ma ha assorbito l’influenza delle religioni presenti antecedenti il buddhismo e principalmente l’induismo, tale tradizione si trova in Cina e Giappone e Corea. Il Veicolo Adamantino (Vajarana) rappresenta il terzo ramo del buddhismo, presente nella regione Himalayana, in Tibet, in Mongolia. Una caratteristica peculiare del buddhismo e non comune nelle altre religioni è la tolleranza, sicuramente considerato un valore, ma l’aver tollerato e mai interamente soppiantato le religioni presenti nei luoghi di diffusione del buddhismo, ha determinato il fenomeno del sincretismo religioso. Oggi nel mondo il buddhismo appare come una religione decadente, contaminata da altri credi religiosi arcaici, dimostrando in questo modo i suoi 2500 anni. Nell’occidente la tradizione buddhista più conosciuta è certamente il buddhismo tibetano per la presenza dei tibetani esuli del Tibet, ma il buddhismo nelle avanguardie intellettuali esiste dall’1800. Schopenhauer dice che il buddhismo è la religione più alta. Friedrich Nietzsche si interesso al buddhismo ritenendolo una religione decadente come il cristianesimo, ma egli definì il buddhismo cento volte più realistico del cristianesimo questo perche: il concetto di Dio al suo primo apparire, è già quasi spazzato via; ma soprattutto perche esso non dice più“ lotta contro il peccato”, bensì, dando pienamente ragione alla realtà,” lotta contro il dolore”.Nietzsche poi elogiò anche l’egoismo nella dottrina del Buddha. Nel ventesimo secolo il buddhismo ha avuto un certo sviluppo a partire dagli anni 50 del secolo scorso, negli Stati Uniti per la conversione al buddhismo degli esponenti della Beat Generetion. Oggi nel mondo occidentale sono rappresentate tutte le correnti del buddhismo, e diffusi sono anche i centri di meditazione. Molti attori e personaggi illustri dello spettacolo si definiscono buddhisti, trasformando quasi la conversione al buddhismo in una moda da vip. Molti ostacoli culturali si frappongono però tra noi occidentali e il buddhismo, e rendono ardua l’adesione a questa religione; gli ostacoli sono di natura culturale difficilmente superabili, come ad esempio la concezione della realtà che nel buddhismo è una dimensione frustrante da rifuggire, mentre noi occidentali abbiamo fondato tutto il nostro sapere sulla scienza che è proprio lo studio della realtà materiale e dei fenomeni. Esiste poi un assunto che ostacola noi occidentali nell’approccio al buddhismo, ed è la reincarnazione. La reincarnazione o metempsicosi, è un retaggio comune di tutte le religioni indiane, nel buddhismo è accettata nella corrente Mahayana, ed è meno importante nella tradizione Hinayana. Rimane comunque un assunto religioso lontano dalla nostra cultura.
Concludendo nella sua essenza il buddhismo si può definire un pensiero filosofico di tipo religioso, dove il dolore è ritenuto il maggiore dei mali, ma questo dolore è diverso dalla nostra idea di dolore, perche in definitiva è unicamente la constatazione della vera natura del mondo e della vita dell’uomo, sono di natura relativa e quindi priva di qualsiasi entità assoluta. Il buddhismo ritiene illusoria la conoscenza materiale. Il buddhista che è un idealista, constata che tutto nella vita e nel mondo è impermanente, di conseguenza ritiene la realtà una condizione negativa. E’ soprattutto nella considerazione negativa della realtà del mondo e della vita dell’uomo che il buddhismo mostra la sua vera natura religiosa. Il buddhismo con una metodologia quasi medica, prima fa una diagnosi e poi presenta la terapia, che è la via per superare il dolore attraverso il non attaccamento alle cose ed al mondo, il dolore viene superato con la pratica che è la meditazione(Sati-pattahana); un efficace sistema di suggestione mentale finalizzato a concentrare il praticante sulla sua realtà psichica, piuttosto di quella del mondo, raggiungendo un'alienazione dalla realtà, un ripiegamento in se stessi che permette attraverso il metodo del non-attaccamento alle cose ad alla vita di superare il dolore. Il buddhismo quindi pur essendo differente dalle religioni a noi più vicine, è sicuramente una religione, e come tale rientra a tutti gli effetti nella definizione che feci della religione in generale. Il buddhismo ha la più alta finalità di superare la realtà dolorosa del mondo, perche anch’esso come già si è visto in altri sistemi religiosi, ritiene la realtà del mondo e la vita dell’uomo dolorosa inconsistente ed insoddisfacente e il fine religioso è sempre quello di superare la realtà, che nel buddhismo è forse peggiore della valle di lacrime dei cristiani. Ma il rimedio della pratica religiosa buddhista del non attaccamento nei confronti della realtà impermanente e inconsistente, non possono realmente nulla nei confronti della sofferenza, ed anche qui solo la suggestione, l’estraniazione possono illudere il praticante di avere eliminato la sofferenza della vita. Solo la Prima Nobile Verità dove si descrive la natura relativa della realtà mi trova d’accordo, sulle altre tre nutro forti perplessità. Così come nel cristianesimo che si prefiggeva la vita eterna, anche nel buddhismo che si prefigge il superamento del dolore, le mete che si prefiggono le religioni potranno essere raggiunte solamente con l’illusione. Negli ultimi scritti Feuerbach scrisse: Il buddismo è una manifestazione non dell’istinto di felicità sano, naturalmente vigoroso, retto, ragionevole, bensì di un istinto di felicità malato, esaltato, fantastico, che per il male trascura il bene, colpito ed offeso dai mali che sono connessi a ogni bene, soprattutto il male della caducità.
La morte ha sempre avuto un ruolo interessante per la filosofia, fin dall’antichità i pensatori hanno investigato sulla sua natura, il motivo di tale interesse è dovuto al fatto che la morte è il comune ed inevitabile nostro individuale destino. La certa e comune conclusione della nostra vita è la morte che piaccia o dispiaccia, è forse questa una delle poche certezze della vita.
POST MORTEM NIHIL EST con questa frase il filosofo romano Senaca nelle Troades afferma che dopo la morte c’è solo il nulla, io condivido questa frase e credo che Senaca per primo abbia spiegato la vera natura della morte. Michel Onfray ha scritto: tutti camminiamo verso il nulla.
La morte è l’opposto della nascita, quando dal nulla passiamo alla vita, nella morte dalla vita passiamo al nulla. La medesima dimensione nella quale non eravamo prima di nascere torneremo a non essere dopo la morte, quindi la morte è un’esperienza non vissuta da tutti quindi a tutti non conosciuta, ma non del tutto sconosciuta. Scrisse Feuerbach: Sarà di noi dopo la nostra morte lo stesso che già è stato prima della nostra nascita Ed ancora: la morte non è una fine parziale, ma totale.Nessuno come Feuerbach ha guardato in faccia la realtà della morte, ed ha scritto: La morte non è un annientamento positivo, bensì un annientamento che annienta se stesso, un annientamento che di per se stesso è niente, nulla. La morte è di per se stessa la morte della morte; col finire della vita finisce ella stessa, muore per la sua propria mancanza di senso e contenuto. Si legge sempre nel medesimo libro: Solo per gli altri l’individuo cessa di essere, non per se stesso; la morte è morte solo per coloro che vivono, non per coloro che muoiono. Inoltre si legge: Ciò che nega l’esistenza stessa non ha di per se stesso esistenzaLa famosa massima di Epicuro: Non dobbiamo avere paura della morte perché quando ci siamo noi lei non c’è ancora, e quando c’è lei non ci siamo più noi. Giusta massima che considera la morte annientamento della coscienza in primis. Consapevoli di questo, quale atteggiamento dovremo correttamente tenere nei confronti della nostra sicura fine? La mia risposta è: l’unico atteggiamento mentale giusto è quello di ignorare la morte voltandole le spalle, volgendo unicamente il nostro sguardo verso quello che resta della nostra vita. Tutte le altre idee sulla morte sono errate. Scrisse giustamente Spinoza: Un uomo libero pensa alla propria morte meno che a qualsiasi altra cosa; e la sua saggezza è una meditazione non sulla morte, ma sulla vita. Ma per quali motivo noi dovremmo assumere un comportamento tanto disinteressato verso il sicuro e definitivo nostro destino? Semplicemente perché la nostra morte individuale, (si badi e non altrui), è nulla, è nihil,quindi non è ragionevole né logico, ma al contrario idiota, occuparsi del niente. Oggi sappiamo se siamo determinati a guardare la realtà, che il post mortem è uno stato di annullamento totale identico a quello del tempo prima di nascere, di fronte al nulla non occorre nulla, per questo diciamo che il comportamento filosoficamente più corretto da tenere nei confronti della propria morte è quello di ignorare completamente il fatto, come qualcosa che non ci riguarda.Pensare alla propria morte è stupido ma più che altro inutile, ma nei confronti della morte gli uomini sono colti dall’emotività e sono inclini ad assumere comportamenti errati. Scrisse Feuerbach: L’uomo non deve certo pensare alla sua fine, al suo non essere. Una giusta idea della vera natura della morte ci aiuta ad assume un comportamento razionale e corretto nei confronti della vita, mantenendo questa vita fino a quando questa vita è vivibile e piacevole, non accanendosi nell’idea di restare in vita ad ogni costo anche quando questa vita non ha più nulla di buono ma ci riserva solo dolore e sofferenza.
Nessun uomo soffrirà del fatto di essere morto, ma tutti gli uomini sono angosciati per la prospettiva ineluttabile della morte, la mia consapevolezza ed il mio insegnamento hanno lo scopo di ridurre se non estinguere l’angoscia per l’inevitabile prospettiva mortale, che poi resta l’unica fonte reale di sofferenza. Posso tranquillamente affermare che l’intero problema della morte individuale si riduce unicamente all’angoscia dell’idea di morire. Alla fine anche la morte personale si dimostra come già Dio e l’immortalità, solo un’idea vuota priva di consistenza reale, idea della quale si può fare benissimo a meno, della quale non si ha alcuna necessità, idea che si può benissimo ignorare non subendo danno alcuno, mentre avremo dolore e sofferenza enfatizzando l’idea della morte. La morte personale non va enfatizzata ma ignorata, se si vuole seguire il retto comportamento nei suoi riguardi. Nei confronti della morte si può avere paura, temendo la morte, non come fine della vita ma come post mortem, oppure si può assumere un atteggiamento di attrazione. Tra i tanti pensieri che si possono avere intorno alla morte, direi che quello di gioire oggi nella sicura prospettiva dell’annullamento futuro è tra i più assurdi, perversi, e malsani, oltre che sicuramente idioti. Ma sono categorico nel definire questi pensieri profondamente errati, per l’unico motivo che considerano la morte, la propria morte, come qualcosa di esistente e consistente, mentre noi sappiamo che la morte individuale è solo un’idea che consistenza non ha. Leonardo da Vinci esprimendo il suo genio anche in questo campo scrisse: Come dopo un’intensa giornata vissuta un sonno ristoratore è la cosa più gradita, così la morte dopo una vita intensamente vissuta. Se qualcuno dubitasse della necessità della filosofia nella vita pratica, costui si dovrebbe ricredere nei confronti del problema morte. Attraverso le elaborazioni e le considerazioni filosofiche possiamo acquisire un abito mentale necessario per superare l'angoscia e la paura della prospettiva mortale della quale ogni uomo è consapevole, lasciando ad altri i terrori religiosi e le fantasie nefaste dell’immortalità.

MORIRE RESTA L’ULTIMA POSSIBILITA’
La morte è un’entità insignificante che ha come unico effetto concreto di interrompere la vita, ella ha quindi unicamente valore in relazione alla vita ma non in se stessa. L’uomo può subire il morire come evento naturale inevitabile, ma ha facoltà anche di sceglierlo come atto volontario e deliberato con lo scopo di interrompere la vita ritenuta dolorosa ed insostenibile. Questa è una grande possibilità dell’uomo, una potente facoltà che gli permette di scegliere per se stesso. Senaca, scrisse :”è aperta all’uomo la via verso la libertà. Dovunque ti volgi, trovi la fine dei tuoi mali. Vedi quel precipizio? La si scende verso la libertà. Vedi quel mare, quel fiume, la libertà abita nelle loro profondità. La decisione di morire nella cultura corrente è ritenuta un proponimento abietto, ma al contrario è l’unico modo insostituibile anche se tragico e pietoso per togliersi da una vita di sofferenza e priva di prospettive migliorative. Feuerbach ha scritto: Io voglio anche la mia morte; ma solo se è l’ultimo ed unico mezzo di rendermi libero dalle miserie della vita umana. Mai la decisione di morire deve considerarsi un atto per entrare nella morte, ma solo quello per uscire dalla vita, a prima vista sembrerebbe la stessa cosa, ad una considerazione più profonda la differenza è sostanziale, uscire da una vita di dolore può essere vantaggioso per l’uomo, e morire diventa un modo risolutivo allo scopo. Quindi l’unico scopo logico riconosciuto alla possibilità di decidere di morire è quello di cancellare il proprio futuro. Da qui parte Feurbach per scrivere: Se la vita non è più che un male, la morte non è un male ,anzi un diritto, il sacro diritto naturale di chi soffre a liberarsi dal male. E’ chiaro che in Feuerbach la morte non viene vista come soggetto attivo, ma unicamente come la liberatrice dei mali della vita, quindi non morte in se, ma la fine della vita.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono pienamente d'accordo su quanto scritto, ma vorrei sottolineare che non mi sembra "perverso" il buddhismo riguardo la dottrina dell'impermanenza. Al contrario essa dovrebbe essere vista come una realtà che accompagna l'individuo nel suo divenire; alla società occidentale consumistica ed arrivista, la meditazione sull'impermanenza della realtà potrebbe risultare molto utile; a mio avviso per apprezzare il Buddhismo non bisogna necessariamente diventare monaci, ma prendere quegli insegnamenti per vivere, al contrario, un Vita più gioiosa, lontano dall'attaccamento morboso alle cose, una riflessione, per dirla in termini psicoanalitici, che ci insegni a fare ogni giorno un lutto per le piccole perdite che necessariamente dobbiamo affrontare.

LKWTHIN

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